È interessante tener conto dell’esito controverso delle elezioni che si stanno tenendo in Sud America. La stragrande maggioranza dei candidati alla presidenza proviene dal mondo imprenditoriale, spesso sostenuto da cartelli politici creati ad hoc e senza un reale radicamento territoriale. Tuttavia, i candidati indigeni si stanno organizzando, fino a rappresentare una sorpresa, anche dopo i successi di Correa e di Yaku Perez, che nell’ultima tornata elettorale in Ecuador era sul punto di vincere il ballottaggio, con l’appoggio della CONAIE, il più importante movimento indigeno (e sociale) del Paese.
Il “Correismo”, dopo un’importante affermazione nelle ultime elezioni amministrative, è di fatto il partito di maggioranza nel Paese andino e avvalora il contemporaneo esito del ballottaggio per le presidenziali in Guatemala, che ha visto la storica affermazione del candidato progressista, proprio quando in Argentina (dove l’emigrazione bianca è largamente maggioritaria) la vittoria delle destre è risultata schiacciante.
Altro discorso per la situazione in Bolivia, dove in vista delle prossime elezioni presidenziali il movimento MAS appare diviso, tra il sostegno all’attuale presidente Arce e la candidatura del suo storico fondatore Evo Morales. Un’esperienza, quella boliviana, che è stata un riferimento importante per i movimenti indigeni che stanno emergendo in tutto il continente.
La crescita di peso delle popolazioni locali si è infatti radicato in lotte di sostegno al valore e ai beni della natura e in contrasto alla depredazione delle multinazionali del legno, dell’agricoltura e del petrolio. La dimostrazione di un cambiamento non episodico sta nel risultato sorprendente di alcuni referendum a difesa del suolo e del sottosuolo amazzonico.
Infatti, accanto al voto per le elezioni presidenziali e congressuali, in Ecuador si sono svolti due importanti referendum, uno di rilevanza nazionale, contro l’estrazione petrolifera nella zona amazzonica di ITT Yasuni, e uno locale e limitato al territorio metropolitano di Quito, contro l’espansione delle attività minerarie e la coltivazione estensiva del cioccolato andino. In entrambi i casi ha vinto il SÌ, sottolineato da striscioni stesi lungo le strade con la scritta “a naturaleza ganó”.
La concomitanza di queste consultazioni con le elezioni politiche va certamente contestualizzata anche sullo sfondo della crescente violenza indotta dai narcos, i quali, con omicidi, attentati e sparatorie efferate, sono entrati in grande stile sulla scena elettorale, suscitando questa volta una sorprendente e decisa reazione delle popolazioni sfruttate.
Tuttavia, ciò dimostra che c’è un altro Paese che è andato alle urne. Quei milioni di ecuadoriani che hanno deciso il futuro del modello produttivo e l’uscita dalla monocultura estrattivista. Non si tratta di una questione da poco, ma ha un significato globale, data la dipendenza storica dell’economia del Paese dall’estrazione e dall’esportazione di combustibili fossili e minerali. Ciò rende giustizia, almeno per quanto riguarda ITT Yasuni, alla perseveranza con cui i movimenti sociali ed ecologici del Paese hanno lavorato da quando la proposta è stata lanciata dieci anni fa, durante la presidenza di Rafael Correa.
Dopo anni di dispute legali, la Corte Costituzionale ha deciso qualche mese fa di convalidare le firme raccolte dai campesinos e, quindi, di indire il referendum nazionale. Il risultato della consultazione mostra un Paese composto da elettori che hanno votato Sì a Yasuni e Chocó Andino, per i loro diritti alla natura costituzionalmente riconosciuti, per le loro specie uniche in via di estinzione.
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