“La felicità non è avere ciò che si desidera, ma è desiderare quel che si ha” (Oscar Wilde).
Nel Vangelo c’è la prima rivendicazione sindacale della storia. Ma chi l’ha detto che tutto (ci) è dovuto?
Partendo dal principio per cui nessuno e mai può pensare di dare per carità quello che spetta per giustizia, riflettiamo sul fatto che non ci vada mai bene niente.
Ci aiuta la lezione di un’insegnante che un giorno ha scritto alla lavagna: 9×1=9 – 9×2=16 – 9×3=27 – 9×4=36 – 9×5=45 – 9×7=63 – 9×8=72 – 9×9=81 – 9×10=90.
“9×2=18! Ha sbagliato professoressa! Ha scritto 16!”. Che goduria per gli alunni cogliere l’errore! “Ma tutte le altre erano giuste, perché non le avete considerate?
Perché avete notato solo lo sbaglio, dando il resto per scontato? Perché non è spontaneo partire dal giusto, che è pure di più?
Essere positivi non vuol dire non avere pensieri negativi, ma significa non lasciare che questi controllino la tua vita.
Attenti però! Nessuno ha badato che mancava 9×6=54. C’è uno spazio vuoto, che avreste potuto integrare mettendo in gioco qualcosa in più rispetto al giudizio. La vera attenzione alla realtà è la premura nel cercare di capire ciò che di mio può migliorare”.
Tale “premura” è la qualità del padrone: all’alba accoglie le ragioni di chi è pronto a lavorare, con chi parte alle 9 apprezza la preziosità dell’impegno, sul terzo gruppo – del mezzogiorno – investe in fiducia, alla sera brilla di sensibilità che supera l’efficacia e l’efficienza.
Va di moda il criterio dei 3 gradini: do well, do good, be good – fare bene, fare il bene (letteralmente “buono”), essere bene. Ce n’è anche un quarto: be & do God, essere nello stile di Dio cioè scegliere il bello, il bene, il buono partendo da se stessi.
Ognuno di noi è in questa situazione tutti i giorni: all’alba preoccupazioni, impegni, doveri si azionano subito; poi arriva la squadra delle richieste, delle urgenze, delle pretese, resta l’orario di pranzo per la fame di relazioni e di desideri; ma la sera, avvolti di ombre, rattrappiti, senza nulla in mano, rimaniamo soli con noi stessi.
Dio, con la sua infinita sensibilità premurosa, invece ci prende seriamente in considerazione: è attento al nostro valore e ai nostri valori e ci vuole realizzati.
“Gli ultimi saranno i primi”: quante volte gli ultimi siamo noi. Gesù ci insegna la sensibilità premurosaverso noi stessi, dicendo-ci che la gratitudine è il più alto sentimento di realismo, perché la sensibilità è il vestito più elegante dell’intelligenza.
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