Chiusi i negozi; silenziose, assolate le strade, l’ora del mezzogiorno ritaglia, rasente i muri, sottili inutili strisce d’ombra. Un’auto ogni tanto: dove andrà mai? Verso il blu dei laghi, il verde della montagna? Chissà perché mi piace la città in agosto. A volte penso che ci sia un che di masochistico in questo, l’atmosfera non mi rende felice eppure mi attrae. Forse è per quella sensazione di sospensione che rimanda a possibilità imprevedibili: non accade nulla, ma tutto potrebbe accadere.
Così esco, se il caldo non è ancora killer. Mi invento uno scopo, una meta. Scelgo il percorso più lungo, esploro le strade familiari come se le vedessi per la prima volta. Magari entro in un bar per un caffè. Quasi tutti chiusi. Non importa, il minimarket è sempre aperto, ce n’è uno nuovo in centro, mi piace più dell’altro: comprerò qualcosa di pronto per non dover cucinare.
La via deserta mi apre una bella prospettiva, da ammirare in tutta calma: la geometria del lastricato e la solitudine si esaltano a vicenda, sembrano fatte l’una per l’altra. A metà strada due negozi di alimentari si fronteggiano; uno esibisce in vetrina prodotti di nicchia, raffinato anche il nome, una suggestione letteraria nel gioco di parole. Popolare l’altro: le vetrine sono porte di ingresso e di uscita che si aprono e si chiudono sugli scaffali allineati. Nel primo un commesso ossequioso consiglia un cliente. Nel secondo, soltanto un cassiere all’uscita. Scelgo il secondo.
Dentro siamo in quattro: tre vecchi e una badante. Non mi deprimo, mi sento in sintonia con l’atmosfera esterna, ferma, rarefatta, silenziosa. Sono solo un po’ irritata: l’uomo, cestello ai piedi, se ne sta immobile proprio davanti agli scaffali della carne dove vorrei fermarmi anch’io; mi sposto nel settore del pane e ci trovo la signora con badante che non vuole – o non sa – decidere che pane scegliere. Ritorno al frigo della carne. Il vecchietto è sempre lì, fisso. Comincio a guardare da lontano i prodotti esposti e scelgo mentalmente una busta di pollo tonnato. Aspetto con pazienza, tanto fuori non si respira e qui c’è un piacevole fresco, forse anche gli altri sono entrati per lo stesso motivo. Lui si riscuote, si accorge di me e improvvisamente non è più vecchio: mi sorride, incredibile.
”Scusi, mi sono incantato”.
“Non si preoccupi, mi sono incantata anch’io, cercavo qualcosa di pronto per non accendere il gas”.
“Pensavo la stessa cosa. Mi attirava quel pollo tonnato, ma non l’ho mai provato”.
“Nemmeno io, ma non c’è altra scelta”.
“Sa cosa le dico? Lo compro. La prossima volta ci diremo se ci è piaciuto”.
Sorriso. Sorriso. Buona giornata. Buona giornata.
L’irritazione è passata. Si può sorridere e ritrovare un po’ di umanità anche in un torrido agosto davanti alla vetrina dei polli.
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