Gliene hanno dette di tutti i colori: che fa propaganda imperialista, che difende le mire neocoloniali della Russia, che è nemico dell’Ucraina. Gli hanno dato del nostalgico degli zar, del putiniano, dell’anti-europeista, del sabotatore della Nato. Tutto perché il 25 agosto, in video-collegamento per la giornata dei giovani cattolici russi a San Pietroburgo, li ha esortati a non scordare “di essere eredi della grande Russia dei santi, di Pietro I e Caterina II, di un impero illuminato, colto e ricco di umanità”. Un messaggio di pace, equivocato, in cui il papa lodava la tradizione spirituale di un popolo.
Bollato, invece, come istigatore del nazionalismo russo. In tv c’è chi ha definito catastrofiche le sue parole e “tossico” averle pronunciate proprio adesso che le truppe di Putin sono a corto di fiducia. Qualche giornale ha ricordato i vecchi incidenti diplomatici del Vaticano sulla guerra in corso, la contestata Via Crucis al Colosseo nel 2022 con una donna russa e una ucraina accomunate nel portare la croce, la denuncia del pericoloso “abbaiare della Nato alle porte della Russia” e l’accorato commento del papa sull’omicidio di Darya Dugina, figlia dell’ideologo russo: “In guerra perdono gli innocenti”.
Malintesi, fraintendimenti. In buona o cattiva fede. È il prezzo da pagare per tenere aperta la strada del dialogo tra Mosca e la Santa Sede, una strategia che trova accoglienza nella portavoce del ministero degli esteri Maria Zakharova: “La Russia apprezza la linea equilibrata del Vaticano sul conflitto in Ucraina e gli sforzi personali del papa per cercare una soluzione pacifica”. La stessa logica che ha portato Francesco nella Mongolia buddista (la comunità cattolica conta appena 1500 anime), un Paese stretto tra la Russia e la Cina, sempre più vicine fra loro, un muro che Francesco ha aggirato con un messaggio di pace, politica e religiosa: “Il mondo è funestato da troppe guerre”, il grido rivolto a Mosca e a Pechino.
La Santa Sede non accetta l’ineluttabilità delle armi come soluzione per comporre i conflitti politici e arriva dove può, con coraggio e spirito d’iniziativa, dove altri capi di Stato non provano neppure. Nella capitale Ulan Bator, il pontefice ha elogiato la pacifica politica estera mongola, l’attenzione ai diritti umani, il ripudio delle armi nucleari. E ha partecipato all’incontro interreligioso con i rappresentanti delle confessioni presenti nel Paese: “Le tradizioni religiose nella loro originalità e diversità – ha detto – rappresentano un potenziale di bene al servizio della società. Se chi ha la responsabilità delle nazioni scegliesse la strada dell’incontro e del dialogo con gli altri, contribuirebbe a far finire i conflitti”. Chi ha orecchie per intendere, intenda.
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