Li definisco croste al sole: intendo riferirmi ai pannelli solari che sempre più invasivamente alterano la pelle dei tetti delle nostre abitazioni, dal mare al monte.
Non sono certamente contrario allo sfruttamento dell’energia solare, all’origine gratuita. È la modalità che metto in discussione.
Perché ogni privato deve provvedere da sé quando invece dovrebbe essere lo Stato a fornire un simile servizio?
Auspicherei diverse centrali di produzione, dal nucleare all’eolico a vaste distese di pannelli al servizio di determinati centri, che come supermercati del consumo provvedano ad assicurare la fornitura dell’energia solare da utilizzare nelle nostre abitazioni sì da smacchiare le macchie di leopardo delle croste solari.
E invece le nostre strade vengono incessantemente fresate per distribuire la fibra e lasciare ferite non facilmente rimarginabili sull’asfalto perché il committente si è dimenticato di ripristinare il manto stradale e nessuno controlla il fatto.
Ricordate i nostri vecchi, che di risparmio e non di spreco energetico, s’intendevano assai più di noi?
Nei paesi, per dire di fatti nostri, come quelli delle valli del Luinese, allestivano un forno per abitato e viciniori di modo che tutti gli abitanti avessero a provvedervi, senza costruirsi un fornetto proprio, ma conservando un capace fuligginoso camino dalla cui catena far pendere il paiolo per la polenta da servire sulla tavola di casa, con una ciotola di latte appena munto. Senza dimenticare gli utilissimi mulini che sfruttavano l’energia dei corsi d’acqua che si dovevano tenere puliti per evitare disastri e disfunzioni.
Certo che si dovrebbe essere comunità ben amalgamate con intenti ben mirati, ma noi siamo delle assemblee di condomìni, pensiamo ed agiamo proprio all’opposto. Non c’è più una amalgama sociale, ogni famiglia ha il suo televisore, quando non più di uno, le sue antenne ed adesso anche le croste sulla testa.
Insisto sulle croste perché sono come una lebbra che svilisce il puro colore delle piode, delle marsigliesi, delle ardesie, dei coppi: le tegole nostrane, e per di più, alla distanza, alterano i colori dei tetti di una città, di un paese, di un abitato, vuoi del meridione, vuoi del settentrione, vuoi delle colline, vuoi delle montagne per non dire delle case che specchiano sulle acque dei fiumi o dei laghi, come le hanno viste gli Impressionisti. Questi lustrini accecano le rondini, sempre che ce ne siano ancora, sviandone il volo o qualche altro volatile in picchiata che manca la preda per un sinistro bagliore.
Provate ad immaginarvi la Veduta di Delft del Vermeer incrostata da lustrini. Non lo permetteranno perché i nostri europei hanno pensato al sud dell’Europa, non curandosi se Arezzo affrescata da Giotto diventerà immagine arlecchinesca o la Veduta di Gazzada del Bellotto si dovesse macchiare di fazzoletti luminosi in contrasto con il nitore del lago.
Forse occorre ripensare tutto il progetto energetico, ma dubito che lo si farà perché affaccendati in altre faccende.
Non mi resta che guardare fuori dalla finestra, in direzione del Grande Albergo del Campo dei Fiori, e ammirare quante antenne gli hanno fatto crescere sulla testa.
Ma allora è un vizio inestirpabile o un impagabile malcostume. Non c’è più religione. Qualcuno dovrà ben provvedervi, e quel Qualcuno ha l’iniziale maiuscola.
Allora, tranquilli, tutto come prima e se non peggio.
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