L’ultimo allarme è stato lanciato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti al meeting di Rimini quando ha detto: “Non esiste riforma o misura previdenziale che possa reggere nel medio e nel lungo periodo con i numeri della denatalità che abbiamo oggi”.
La realtà è quella di un Paese dove le nascite si sono dimezzate rispetto agli anni del Dopoguerra, dove la speranza di vita è fortunatamente una delle più alte del mondo, dove l’immigrazione riesce solo in piccola parte a colmare la diminuzione della popolazione.
La politica per la famiglia e il varo di incentivi per favorire la natalità sono all’ordine del giorno e sono stati interventi considerati la priorità delle priorità dal Governo di Giorgia Meloni. Vi è da augurarsi che le promesse si traducano in atti concreti. Anche perché di sostegni alle famiglie se ne sono visti sempre molto pochi in passato.
Tutto lascia credere tuttavia che anche di fronte ad un recupero della natalità si sia ormai di fronte ad un processo irreversibile. Dato che la flessione delle nascite è iniziata negli anni 80 del secolo scorso da allora è anche in progressiva diminuzione il numero di donne in età fertile e quindi la potenzialità di procreare.
A questo punto appare allora altrettanto importante agire su due fronti: seguire tutte le strade possibili per incentivare le nascite (con politiche fiscali, servizi, agevolazioni), ma nello stesso tempo adattare le politiche sociali per attutire per quanto possibile, i riflessi negativi della bassa natalità. E invece, mentre si condividono a parole le preoccupazioni, la politica sembra mantenere un atteggiamento sostanzialmente incapace di tener conto della nuova realtà e della sua evoluzione.
Si prospettano per esempio nuove strade per i pensionamenti anticipati mentre sarebbe urgentemente necessario riadattare la struttura del sistema previdenziale ai nuovi modelli di vita e di lavoro. Ha sempre meno senso un’età pensionabile uguale per tutti di fronte ad un mercato del lavoro che richiederebbe flessibilità e percorsi personali. Perché, per esempio, non aprire alla possibilità che uomini e donne possano godere di congedi parentali anche di due/tre anni restituendo questo beneficio spostando di altrettanti anni la loro età pensionabile?
Senza politiche per la natalità nello scenario peggiore stimato dall’ Istat, il Paese passerà dagli attuali 59 milioni di abitanti ai 51 milioni nel 2050, ma anche se miracolosamente si riuscisse a ritornare a quota due figli per donna (ora sono 1,24) la flessione della popolazione sarebbe ugualmente significativa.
È illusorio pensare che un Paese meno popolato possa avere solo riflessi positivi: meno traffico, meno inquinamento, meno concorrenza per la ricerca di un posto di lavoro. Certo, ma anche meno redditi, meno entrate fiscali e quindi meno spesa pubblica mentre appare indispensabile, proprio per l’invecchiamento della popolazione, rinforzare sensibilmente i presìdi della sanità.
Si impone quindi con urgenza una nuova politica di bilancio. Forse costruire e gestire qualche ospedale potrebbe essere più utile del ponte sullo Stretto di Messina. Il 2050 sembra lontano, e molti di quanti leggono queste righe non ci arriveranno. Ma saranno le riforme di oggi a rendere possibili nuovi e più incisivi interventi domani.
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