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CI HA LASCIATI STEFANIA BORTOLUZZI

- 10/08/2023

Stefania-Emilio-BortoluzziQuesta mattina è mancata la dottoressa Stefania Longoni Bortoluzzi, per tanti anni anestesiologa all’Ospedale di Circolo di Varese e moglie del professor Emilio Bortoluzzi, fondatore del reparto di Rianimazione. Il funerale si terrà sabato 12 agosto alle ore 15,30 alla Chiesa Parrocchiale di Velate. Ai figli Alberto, Chiara ed Elisa vanno le condoglianze del nostro giornale.

Quando ci lascia una persona come Stefania Longoni Bortoluzzi, con lei se ne va un patrimonio di umanità e di conoscenza. Era una donna straordinaria la dottoressa Stefania, volitiva e con grandi doti professionali, abitata dalla sicurezza di chi aveva sempre avuto fiducia nella scienza, non tralasciando però la lezione dell’umanesimo, condivisa con il marito Emilio.

Anestesista per anni all’Ospedale di Circolo, mentre il professor Bortoluzzi inventava dal nulla il reparto di rianimazione, Stefania Longoni non ha mai abbandonato la sua grande passione per la musica classica, mutuata dalla madre tedesca, meravigliosa liederista che aveva dovuto abbandonare la carriera di soprano per dedicarsi alla famiglia.

Ho conosciuto i Bortoluzzi quando ero poco più che adolescente e frequentavo i concerti del Liceo Musicale, retto allora da Riccardo Malipiero, e quelli di Gioventù Musicale, dove Emilio e Stefania erano habitué, e da allora ci siamo sempre frequentati, nella bella casa di Velate dove non è mai venuta meno la tradizione della hausmusik, coltivata poi dal nipote Pietro, eccellente violinista.

Ma la conoscenza più profonda con la signora Stefania è arrivata soltanto qualche mese fa, quando salivo ogni settimana a Velate per chiacchierare e tenerle compagnia, lei convalescente da una lunga degenza in ospedale, ma con lo spirito intatto nonostante l’età avanzata. Nello splendido salotto affrescato, pieno di libri e di dischi, la dottoressa mi raccontava che in gioventù era stata pianista, e accompagnava la madre in eleganti liederabend nella casa di Milano del padre ingegnere.

Per questo, e per la perfetta conoscenza della lingua tedesca, sapeva a memoria i testi di decine di lieder e aveva la fortuna di gustare le opere di Wagner senza perderne una parola. I suoi erano racconti affascinanti: le serate alla Scala con la Callas, Victor De Sabata che l’aveva ascoltata bambina suonare il piano, i pettegolezzi su Arturo Benedetti Michelangeli raccolti dalla sua insegnante di pianoforte, i più grandi interpreti della sua generazione ascoltati dal vivo nelle sale da concerto di mezzo mondo, l’amicizia profonda con la pianista canadese Angela Hewitt, quasi una figlia, che raggiungeva ogni anno al Festival estivo da lei organizzato sul lago Trasimeno. E poi gli artisti della Stagione musicale comunale ospitati a Velate, Beatrice Rana o il violinista Leonidas Kavakos, che mangiò a quattro palmenti mentre ripassava le parti.

La dottoressa alimentava il fuoco del camino con perfetta maestria, e tra un cioccolatino e l’altro mi parlava di Herbert von Karajan, il suo idolo musicale, ascoltato più volte dal vivo. Un giorno dello scorso giugno rimarrà per me un ricordo indelebile: ascoltammo la leggendaria Nona di Beethoven che Karajan diresse negli anni Sessanta, con i Berliner Philharmoniker al loro massimo splendore. Allo sfumare dell’ultima nota rimanemmo in silenzio per qualche secondo, tanto la musica ci aveva nutrito nel profondo.

Donna Stefania ricordava ogni suo cd, ne possedeva centinaia, sapeva quante diverse versioni avesse di un brano e chi lo eseguisse, non si sbagliava mai. Ci trovammo d’accordo sulla grandezza di Guido Cantelli, il grande direttore d’orchestra scomparso tragicamente in un incidente aereo a 36 anni, le portai un cofanetto di compact disc con tutte le sue registrazioni e la biografia scritta dalla moglie. Quelle esecuzioni le piacquero talmente, da chiedere al figlio Alberto di procurarle il cofanetto, trovato su Amazon. Per me è stata una grande soddisfazione, perché la passione è la passione, e la signora Stefania l’aveva ancora eccome, assieme alla curiosità di conoscere sempre nuovi aspetti dei suoi amatissimi musicisti.

Ci consigliavamo libri e dischi, a ogni incontro c’era un ascolto o la visione di un dvd con magnifiche esecuzioni di Kleiber, Karajan, Zimerman, Savall, Martha Argerich, da ascoltare in religioso silenzio e commentare insieme alla fine.

Ogni tanto la dottoressa raccontava i suoi primi anni in ospedale, anni pionieristici, quando i pazienti erano addormentati ancora con l’etere, evocava nomi di medici illustri conosciuti, le collaborazioni con La Quiete, il fidanzamento umano e professionale con il futuro marito Emilio, del quale era stata assistente. E poi il tempo di guerra e i bombardamenti su Milano e Varese e le corse ai rifugi, i tanti viaggi per il mondo con il marito e i figli, l’America e la Cina, e sempre la voglia di andare a teatro ad ascoltare qualche interprete che fino ad allora le era sfuggito. Da Berlino a Salisburgo, da Lucerna a Vienna.

Era felice che il nipote Pietro continuasse la tradizione musicale di famiglia, interrotta dai figli, e lo aveva spronato a eseguire nel salotto della casa di Velate la Sonata op. 18 per violino e pianoforte di Richard Strauss, da lei amatissima perché le portava ricordi di gioventù. Il concerto si è fatto poco tempo fa, il 21 maggio, con Pietro Fabris al violino e Francesco Ricci al pianoforte, la signora Stefania era raggiante anche se non lo dava a vedere, e con orgoglio posso dire: io c’ero.

Il concerto era stato registrato e filmato, e lei mi promise una copia del dvd. Poi la malattia ha preso il sopravvento, con un nuovo lungo ricovero che ha interrotto i nostri incontri, ma la dottoressa aveva lasciato il dvd sul tavolino del salotto, pronto per me, assieme a quelli che le avevo prestato da ascoltare, e al libro scritto dalla moglie di Herbert von Karajan, di cui mi aveva caldamente consigliato la lettura.

Stefania ed Emilio Bortoluzzi non ci sono più, una musicista e un poeta, prima ancora che due eccellenti medici, una coppia che a Varese ha dato moltissimo, in termini di umanità e generosità, esponenti di quella borghesia colta e illuminata di cui purtroppo si sta perdendo lo stampo. Negli incontri con la dottoressa Stefania nella quiete della grande casa di Velate, ho imparato molte cose, e ora mi mancherà tanto il suo invito, al nostro accomiatarci sulla porta -«per me può venire anche tutti i giorni»- a ritornare presto a parlare di musica e delle cose della vita. Ad Alberto, Chiara ed Elisa va il mio grazie per avermi dato l’opportunità di condividere un frammento di esistenza con la loro mamma, un’esperienza non dimenticabile che porterò sempre nel cuore.

 

Mario Chiodetti

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