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Società

GIOVANI E FUTURO

GIANFRANCO FABI - 20/07/2023

itsQualche numero. L’Università italiana ha poco meno di diecimila corsi di laurea con quasi un milione e 700mila iscritti. A fianco dell’Università ci sono gli Its, gli Istituti tecnici superiori che garantiscono una formazione tecnica-professionale e hanno la durata di due anni: ebbene gli studenti iscritti agli Its sono in tutta Italia meno di 23mila, una piccola, piccolissima frazione dell’insieme degli studenti che ogni anno superano gli esami di maturità.

Eppure gli Its dovrebbero essere fortemente attrattivi, sia perché garantiscono un accesso rapido e diretto al mondo del lavoro, sia perché offrono indirizzi educativi in linea con quella che potremmo definire la modernità: le aree tecnologiche più frequentate sono infatti quelle dell’efficienza energetica (25%), delle nuove tecnologie per il made in Italy (23%) e delle tecnologie innovative per i beni e le attività culturali (14%).

In Lombardia l’offerta di formazione tecnica è molto diversificata e spazia dalla manifattura e artigianato alla meccanica (progettazione, produzione, installazione, logistica, manutenzione), dall’edilizia al turismo (con attenzione alle risorse del territorio, l’agroalimentare e lo sport), e poi cultura e informazione (in particolare l’informatica) e amministrazione e gestione delle imprese.

A settembre, per esempio, nascerà a Luino un corso post-diploma in automazione e robotica. Un’iniziativa che vede insieme pubblico e privato: la Fondazione Its Incom Academy, imprese industriali dell’alto varesotto e il patrocinio del Comune di Luino.

La sfida della formazione tecnica non è facile anche se in una società ipertecnologica come quella in cui viviamo l’attrazione verso questo tipo di competenze dovrebbe essere almeno pari a quello della formazione umanistica. E sicuramente con pari dignità anche sul fronte della considerazione sociale. Anche perché la formazione tecnica è sicuramente in grado di anticipare i tempi in un mondo del lavoro in cui gli scenari sono tanti, ma le certezze sono poche. Sarà forse vero che i bambini che entrano oggi a scuola tra vent’anni lavoreranno in imprese che non ci sono ancora, svolgeranno mansioni tutte da inventare, avranno a che fare con i contratti e i sindacati solo se leggeranno libri di storia. La rivoluzione informatica, per non parlare dell’intelligenza artificiale, sta cambiando gli scenari così velocemente che le logiche del passato sulla formazione, sull’educazione, sui processi scolastici appaiono infatti sempre più incapaci di affrontare realtà in forte evoluzione.

Non serve la bacchetta magica. Servono tanti piccoli passi per tentare di avvicinare il sistema scolastico a quello delle imprese, per far conoscere il mondo del lavoro all’interno dei percorsi educativi, per valorizzare, per esempio, proprio gli Its, quegli Istituti tecnici superiori che offrono una formazione altamente qualificata e che sono spesso ingiustamente considerati dei percorsi di serie B. Così come è importante superare le vecchie logiche degli uffici di collocamento, pur ribattezzati centri per l’impiego, intrecciando le potenzialità dei social network con l’esperienza consolidata delle agenzie private per il lavoro.

La scuola di base si trova di fronte al difficile compito di mantenere in equilibrio lo sviluppo della conoscenza e della cultura umanistica con l’approfondimento delle capacità tecniche e professionali. Perché le aziende non cercano solo competenze specifiche, sempre importanti, ma anche quelle soft skill che costituiscono la premessa per affrontare e risolvere i nuovi problemi. Anche se queste stesse aziende dovrebbero cercare di essere attraenti verso i giovani, magari con salari di base meno lontani da quelli che possono essere ottenuti andando all’estero.

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