Con l’annunciata nomina di ventuno nuovi porporati, prende forma un collegio cardinalizio sempre più a misura di Francesco che potrà eventualmente influire sulla successione ed esprimere un “erede” in grado di difendere la svolta impressa dal suo pontificato. Il concistoro si terrà il 30 settembre, sarà il nono indetto dal papa argentino e disegnerà la nuova geografia della Chiesa: 137 cardinali elettori al prossimo conclave di cui 53 europei (compresi 15 italiani), 24 dell’America Latina, 6 dell’America del Nord, 19 africani, 23 asiatici e 3 dell’Oceania. A cui vanno aggiunti i 104 porporati ultraottantenni esclusi dal voto.
Eleggere un nuovo papa in continuità con quello “vecchio” non è facile. Nella recente storia dei conclavi è accaduto due volte: nel 1939 a Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli, che era stato il segretario di Stato del predecessore papa Ratti e nel 1963 a Giovanni Battista Montini, Paolo VI, che in sintonia con Angelo Roncalli – il “papa buono” Giovanni XXIII – portò a conclusione il concilio Vaticano II. Di certo non sono gli unici casi verificatisi nella bimillenaria storia della Chiesa che ai tempi del potere temporale, quando il papa era anche re, fu spesso al centro di intrighi internazionali, di accordi segreti, manovre politiche e compravendita di voti.
Oggi per fortuna i metodi sono cambiati, ma l’aspirazione del pontefice a proiettare nel futuro le linee guida della propria azione è rimasta ed è legittima, tenuto conto che Francesco ha operato tra molte difficoltà per cambiare radicalmente strutture, uomini e abitudini vaticane. Un coraggioso tentativo, il suo, di rialzare una Chiesa schiacciata dai problemi, avvelenata dai corvi, dai camerieri infedeli e dal furto di carte riservate che indusse Benedetto XVI alla sofferta rinuncia dell’11 febbraio 2013. Dieci anni dopo, il piano di riforme messo in campo da Bergoglio è una innegabile realtà ed è logico che egli pensi a renderlo duraturo.
Si tratta di difendere i risultati raggiunti in un decennio di pontificato al di là delle ostinate critiche di chi li definisce “caotici e arbitrari”, quando non li si tacci di eresia dottrinale. Nuovo è volere una Chiesa calata nei problemi del mondo e non chiusa nei silenzi dei palazzi apostolici, attenta all’emergenza ecologica e al lato sacro della natura, concretamente attiva contro le guerre che affronta con le autorevoli missioni diplomatiche del cardinale Zuppi a Kiev, Mosca e Washington per far sentire le ragioni della pace. Nuovo è pensare al Sinodo dei vescovi 2023-2024 non come assise consultiva ma come confronto anche di laici e donne sul futuro del cattolicesimo.
Nuovi sono la modernizzazione delle finanze e della giustizia provocata dai ripetuti scandali vaticani, l’accentramento decisionale contro l’affarismo della Segreteria di Stato, la lotta al carrierismo clericale, la riforma della curia e del modello gerarchico, il ricambio ai vertici dei dicasteri con cardinali aperti alle problematiche poste dalle coppie omosessuali, al superamento del celibato obbligatorio, della questione femminile e dei divorziati risposati. Nuova è la Chiesa “ospedale da campo” che assiste i poveri, accoglie i migranti e ascolta le periferie del pianeta. Nuova è, infine, la volontà di affrontare nodi drammatici come gli abusi sessuali del clero e di risolvere i misteri di cronaca che chiamano in causa insospettabili personaggi vaticani.
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