Dalla storica riverniciata degli anni novanta non è accaduto più nulla. Inesorabili sono avanzate soltanto la corrosione e la ruggine che stanno minando le pensiline dell’antica stazione dei tram a Ghirla, oggi di proprietà dell’Agenzia del Demanio della Lombardia e in gestione ad Autolinee varesine che vi fa sostare i suoi autobus di linea. Due convitati di pietra al tavolo del recupero della stazioncina.
Come tutti sanno è un manufatto inserito nel cuore della verde e frequentatissima Valganna, perla turistica dal cuore antico, se è vero come è vero che agli inizi del novecento numerose aziende elettriche e di trasporto misero a punto progetti ferroviari, più o meno ambiziosi, per cogliere il business del nascente turismo su rotaia. La Società Varesina per Imprese elettriche, già da qualche anno egemone nelle gestione delle ferrovie leggere dell’alto varesotto, fu quella che vide più lontano delle altre cogliendo l’opportunità di raccordare, con una diramazione da Ghirla, la Varese–Luino con Ponte Tresa andando quindi a incrociare la linea a scartamento ridotto per Lugano con capolinea oltre confine. Ci si raccordava così in maniera quasi diretta con il sistema delle Ferrovie Federali elvetiche.
Quest’ultime con l’apertura del valico ferroviario del San Gottardo (1882) avevano già realizzato lo storico collegamento tra il Nord e il Sud Europa. E Varese ne era la diretta ma inconsapevole beneficiaria. Insomma si fu molto vicini a realizzare con 136 anni di anticipo ciò che nel 2018 fu reso finalmente possibile dall’Arcisate – Stabio, tra mille problemi e tempi lunghissimi. Nel 1912 la Società Varesina ottenne la concessione e, a dimostrazione di quanto credesse nel progetto, affidò all’architetto milanese Giuseppe Sommaruga, maestro indiscusso del liberty, il compito di ricostruire la fermata di Ghirla trasformandola in un interscambio tra il nuovo percorso e quello tra Luino e Varese. Due anni più tardi, il 17 luglio 1914, la tratta per Ponte Tresa entrò in funzione.
Un miracolo costruttivo che oggi, nonostante gli enormi progressi tecnologici, sarebbe irrealizzabile. Tra le due guerre il turismo ferroviario conobbe una florida stagione e Varese, attrezzata con linee tramviarie e ferroviarie urbane e extraurbane completate da tre funicolari (Campo dei Fiori, Sacro Monte e Colle Kursaal), era all’avanguardia. Senza dimenticare però che il sistema rispondeva bene anche alle esigenze di mobilità dei lavoratori della grandi fabbriche di Varese, all’epoca città ad “officina diffusa”, che abitavano nelle valli e nei paesi del circondario. Il secondo dopoguerra vide, al contrario, l’affermarsi deciso della mobilità su gomma, privata e pubblica, imposta dalla grandi industrie del Nord e assecondata, anche contro l’evidenza, dall’ intera classe politica nazionale. Nel giro di qualche anno le funzionali e pittoresche strade ferrate varesine decaddero rapidamente e senza alcuna riflessione capace di andare oltre le urgenze dell’immediato, furono inesorabilmente smantellate.
Il 25 agosto 1953 toccò al ramo di Ponte Tresa, il 28 febbraio 1955 alla tratta di Luino. Una certa idea di Varese tramontò in quegli anni che videro anche l’abbattimento del vecchio e glorioso Teatro Sociale, simbolo della Belle Epoque varesina. Di quella stagione sono rimaste alcune significative testimonianze, una di queste è proprio la stazione di Ghirla con il sedime protetto dalla pensiline in decomposizione e l’originale fabbricato viaggiatori, due piani più il sottotetto con “finiture angolari e fasce marcapiano in porfido di Cuasso”. Insomma nell’insieme un piccolo gioiello bisognoso di cure che, al momento, nessuno sembra intenzionato prestare. A smuovere le acque non sono servite, per ora, neppure le 1600 firme arrivate l’anno scorso al concorso “I luoghi del cuore del Fai”. E pensare che l’originale costruzione del Sommaruga, senza grandi investimenti, potrebbe essere utilmente trasformata in un piccolo museo delle strade ferrate delle alte valli del varesotto, a cavallo tra otto e novecento.
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