Questione di narrazione. Casi di stupro possono essere giudicati (e trattati sui giornali) in modi molto diversi a seconda che il presunto responsabile sia figlio di un politico amico o nemico. Insulti e banalità sessiste possono essere spacciati per avanguardia se a pronunciarli sono intellettuali (magari in disarmo) vicini al governo. Opinionisti squalificati dalle proprie stesse opinioni possono candidarsi a gestire commenti quotidiani per milioni di teleutenti se la loro militanza è dalla parte gradita a chi comanda. Dipende dalla narrazione, appunto. Non importa che la nuova sia più valida e veritiera di quella vecchia, conta che i cittadini ci credano.
Preoccupa, per esempio, la possibile derubricazione del giornalismo d’inchiesta nel contratto di servizio che regola i rapporti tra lo Stato e la Rai fino al 2028. Prima l’impegno investigativo rientrava nero su bianco nella “valorizzazione della tradizione” della tv pagata dai contribuenti, ora sembra ridursi a un impegno verbale e talvolta, lo sappiamo, le parole volano. Ci si chiede: ne uscirà indenne “Report”, il programma Rai che fa una missione del giornalismo d’inchiesta e che tira diritto davanti a chiunque, destra o sinistra che sia, governo, opposizione e istituzioni varie dello Stato, come il vero giornalismo deve fare? Vedremo cosa decideranno i rinnovati vertici della Rai.
È un fatto che le recenti inchieste di “Report” abbiano messo nei guai il ministro del turismo Daniela Santanché, il presidente del Senato Ignazio La Russa e il deputato Andrea Del Mastro, tutti esponenti di Fratelli d’Italia e che abbiano esasperato il rapporto tra governo e magistratura, due poteri dello Stato (il terzo è il parlamento) che si scambiano roventi accuse. Sulla magistratura e sull’informazione incombe anche la riforma della giustizia che prevede restrizioni su intercettazioni, misure cautelari, informazione di garanzia, appello del Pm, abuso d’ufficio e traffico di influenze illecite. Una riforma che divide toghe, politica e giornalisti.
Che la narrazione sia importante lo dimostra il fulmineo siluramento di Mario Sechi da capufficio-stampa di Palazzo Chigi dopo soli tre mesi come portavoce della premier. Un trimestre segnato dalla infelice conferenza stampa del 9 marzo a Cutro, dopo il naufragio costato la vita a 94 migranti. L’ex direttore dell’agenzia Agi che forse suggerì l’iniziativa non riuscì a gestire l’assalto dei colleghi né a impedire l’ondata di critiche che in quella occasione colpì il governo. L’errore gli è probabilmente costato il posto. Sì, perché è importante come si raccontano le cose e quale immagine si riesce a dare dell’azione della premier.
La forma è sostanza. Per l’Anno Santo 2025 il governo ha disposto con il secondo “decreto Giubileo” che il porto di Fiumicino diventi un terminal per le navi da crociera da oltre 5mila passeggeri, con l’abbassamento dei fondali da 5-6 a 12,5 metri e milioni di metricubi di sabbia e argilla da rimuovere. Una spettacolare teatralizzazione dell’immagine dell’Italia che fa il paio con la missione della nave-scuola Vespucci salpata in diretta Rai1 per il tour mondiale 2023-2024. Il veliero porterà in giro il buon nome del nostro Paese celebre nei secoli per la marineria e magari per far dimenticare il comandante Schettino e il naufragio della Costa Concordia all’isola del Giglio.
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