Non l’aurea mediocritas, ma un’aura di mediocrità circonda la premier. Gente migliore poteva/doveva essere convocata per le istituzioni, a cominciare dalla vicepresidenza del Senato, e per altri incarichi significativi. Gente arruolata a motivo di bravura e non d’amicizia. Di competenza e non di tessera. Di rilievo culturale e non d’inconsistenza settoriale. Gente la migliore possibile, questa l’opzione unica d’un leader dell’esecutivo, se carismatico. Perché qualora non si riveli tale, le conseguenze vengono pagate principalmente da lui. Dal numero uno. Dalla numero uno, nel caso.
È probabile, e anzi sicuro, che Giorgia Meloni sia persuasa degli errori compiuti. Che aspetti l’occasione propizia al rimpasto cui pensa (probabilmente) ormai da tempo. E che si auguri il sopravvenire non lontano della circostanza fatale. Così è dura procedere: una corona di gaffe, un rosario d’imbarazzi, un’inconfessata/palese testimonianza dell’inadeguatezza collettiva alla partita. Bisogna essere fit to, come dicono gl’inglesi. Se invece unfit to, come scrisse di Berlusconi l’Economist, lo sfratto incombe.
Storia che si ripete, nel Paese facile a votare il populismo nelle urne e difficile poi da accontentare tramite l’efficientismo dei Palazzi. Successe trent’anni fa con la Lega, successe in seguito con i Cinquestelle, sta succedendo oggi con la destra rappresentata solo in parte da profili fit to e perciò smarritasi in uno sterile autoreferenziarsi. Se la cantano e se la suonano da soli, sicuri d’archiviare ogni topica grazie alla divisione delle minoranze. Al loro criticare senza controproporre. A una sinistra che si dice in parte liberal-progressista e in parte radical-intransigente finendo per essere nulla d’affidabile nell’insieme.
Però chi: 1) stravince un’elezione; 2) ha numeri bastevoli a egemonizzare la legislatura; 3) continua a marcare superiorità di consenso nei sondaggi; 4) ecco, costui/costei dovrebbe porsi il problema, anzi l’esigenza, d’offrire di più. Di cambiare in corsa. Di mettere fuori squadra gli scarsi e cercare presentabili sostituti. Di acquisire l’autorevolezza finora sembrata difettosa, molto difettosa.
Di sicuro la Meloni è meglio del suo governo, di alcuni ministri, di tanti parlamentari. Eppure manca del coraggio d’ottimizzare il talento riconosciutole anche dagli avversari. Un attestato che finirà per scolorire, avanti così. Né giovano i lunghi silenzi di Chigi, le ritardate spiegazioni, il lamentismo complottista contro presunti poteri forti, giornali prevenuti, nemici tanto informi quanto improbabili. Determinazioni utili solo a segnalare un’aura di mediocrità, e non un’aurea mediocritas. Magari fossimo in presenza d’almeno quella. Invece non ci sono memorabili tracce di Orazio, solo intrecci di orazioni da dimenticare. Purtroppo (infeliciter).
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