Ci sono date che segnano un prima e un dopo per la piccola storia della televisione italiana: certamente il 12 giugno, data della morte di Silvio Berlusconi, sarà accolta nei libri come una di quelle.
Il fondatore di Mediaset già da trent’anni mancava dagli studi e dalle sale riunioni in cui si decidono i palinsesti e le strategie manageriali delle televisioni da lui fondate, da quando cioè lo stesso aveva capito che la migliore difesa del suo impero era agibile in un altro tipo di sale, quelle di Palazzo Chigi e degli altri palazzi del potere politico, ma ciò non toglie che la sua scomparsa rappresenti la fine di un’epoca: la sua presenza, o meglio la sua impronta, era ancora molto ben percepibile.
Quella che oggi amministra il figlio Piersilvio – ribattezzata MediaforEurope, con sede legale in Olanda – è molto diversa da quell’impresa che negli anni settanta muoveva i primi passi negli scantinati di Milano2: dietro a quelle quinte naif e colorate, piene di lampadine colorate, Silvio in persona si divideva tra il correggere le gag ai comici, dare consigli di look alle annunciatrici, contrattare accordi milionari con le star per convincerle a lasciare la Rai, oltre che naturalmente selezionare e formare l’esercito di agenti Publitalia che avrebbero avuto il compito di battere dapprima la Brianza, poi l’Italia intera, sulle tracce dei tanti “cumenda” titolari di fabbrichetta a cui piazzare un contratto per una sponsorizzazione o una reclame. Sempre, ovviamente, “con il sole in tasca”: sorriso aperto, niente barba e una bella cravatta a pois: la ricetta dei buoni sentimenti, come le nonne che ti dicevano “vestiti bene quando vai a scuola”.
«Silvio ci chiedeva di lavorare tantissimo, esigeva cose incredibili, ma lo faceva sempre col sorriso sulle labbra, non potevi dirgli di no – ha ricordato un celebre comico degli esordi di Canale5 nei giorni della scomparsa – si respirava grande entusiasmo perché ci si sentiva tutti sulla stessa barca».
«Capitava che si fosse di turno al lavoro il giorno di Natale e arrivava puntuale la sua chiamata di saluto» ha rievocato un regista oggi di grido, che ricorda anche la frase motivazionale del Presidente, abilmente giocata sul finale della telefonata: «Lei oggi è lontano dai suoi cari, ma fa compagnia col suo lavoro a milioni di famiglie in Italia».
Insomma: un consumatissimo venditore che – sembra di capire dai racconti di chi c’era e lo ha ricordato nelle dirette amarcord delle scorse settimane – sapeva anche mostrare una generosità teatrale, magniloquente, mega-presidenziale – come quando visitò la riffa aziendale di Natale ed essendo rimasto deluso dalla modestia dei premi in palio, disse a un collaboratore di andare a recuperare l’automobile esposta come premio finale nel quiz che si registrava nello studio a fianco.
Aneddoti agiografici, si può dire. Ma al fondo, una vicinanza al “prodotto” che ha aiutato certamente a decretarne il successo, ai primordi.
La fine di un’era che – non a caso – è stata suggellata pochi giorni fa dalla chiusura repentina della collaborazione con Mediaset di una delle ultime star che ancora incarnava lo spirito ultra-pop del fondatore: Barbara D’Urso. Persino lei, fino a un paio d’anni fa colonna portante del gruppo di Cologno, icastica quando recitava il rosario per le vittime covid con Salvini o sviluppava nelle sue interminabili puntate le intricate trame del marito immaginario di Pamela Prati, è stata smantellata in fretta e furia come una di quelle scenografie fuori moda, nei sottoscala di Segrate negli anni ’70.
Come dire: nessuno è immortale, e men che meno la gente di TV.
You must be logged in to post a comment Login