Gli europeisti come me sono soliti invocare un’Europa federale capace di giocare un ruolo decisivo nella guerra in Ucraina, nel Mediterraneo, nel conflitto fra le due superpotenze America e Cina, e così via.
Quella meta va conquistata passo per passo senza arretrare di un centimetro altrimenti si potrebbe pagare il conto finale di una regressione. Mi dà l’occasione di parlarne un amico e autorevole giornalista come Roby Ronza, storico e importante esponente di Comunione e Liberazione, che ha esposto su questo giornale due settimane fa col titolo “Se comandi, ti eleggo” il seguente punto di vista, completamente diverso dal mio.
“La Commissione non è più quell’organo tecnico, come dice il suo nome, che si era voluto che fosse, ma è divenuta un vero e proprio governo. E mettendo insieme le competenze che i trattati le assegnano, e quelle che in vario modo si è prese, si ingerisce in tutto tendendo a ridurre di fatto gli Stati membri a delle sue semplici “prefetture”.
Questa tesi mi sembra fuorviante e paradossale. Vero che Ronza scrive così per proporre “un’assemblea costituente europea attraverso la quale i popoli europei sanciscano la nascita dell’Unione”. Ma l’Unione c’è già, va migliorata, rafforzata, va innalzata di status istituzionale.
A mio parere la Commissione non è ancora, purtroppo, un governo; gli Stati nazionali pesano troppo; la norma dell’unanimità in molti campi riduce la capacità decisionale dell’Unione europea; sarebbe meglio imboccare la strada della maggioranza qualificata.
Sottolineo tutto ciò perché mi pare che una parte dell’attuale governo Meloni (non tutto per fortuna) sia favorevole a questa visione “sovranista” che considero pericolosa. Mi pare che la vicinanza politica di Salvini e Meloni con il gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) abbia lasciato il segno a prescindere dal problema dell’accoglienza degli stranieri da quando sono al governo.
La spinosissima questione dell’immigrazione è infatti abusata spesso, seppure meno che in passato, in funzione euroscettica. In realtà la solidarietà sarà più forte se l’Europa sarà più unita e avrà più poteri, se sarà in grado di far rispettare le regole che democraticamente si è data.
Anche sul famoso MES c’è una posizione isolazionista, perniciosa per l’Italia. Il discorso, per alcuni aspetti, vale per altri Stati europei. Faccio il caso della Francia. Mi convincono spesso le proposte di Macron, la sua ambizione di contare di più nello scenario mondiale, di parlare alla pari con Putin, Biden e Xi Jinping, ma i suoi risultati resteranno pari a zero se quelle proposte le porta avanti la Francia da sola e non l’Unione europea.
È la linea chiaramente perseguita da Romano Prodi in tanti suoi recenti interventi pubblici. Lì ci vedo una prospettiva, un orizzonte e non il rischio di una “diminuzione” di quell’Europa che con i suoi limiti ha rappresentato anche per l’Italia una rete importante di progresso civile, sociale ed economico.
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