Possiamo suddividere la terza età in altrettante categorie. Nella prima il corpo si indebolisce, ma senza gravi malanni, cronici forse, mai invalidanti. La vita resta autonoma, attiva è libera dal lavoro. Nella seconda il corpo-mente precipita in un buco nero, inghiottito nelle demenze senili. Il peso della nostra esistenza evaporata, che Francesco considera una deprivazione pari alla povertà, ci lascia soli nella sofferenza e nella malattia. Scrive il Papa: “La malattia fa parte della nostra esperienza umana. Ma può divenire disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono. Il sollievo diviene un dovere per le istituzioni, che spesso abbandonano i parenti. Mancano strutture non onerose ove prendersi cura di questo tipo di terza età e di recare sollievo”. Infine, la terza può essere colta chiaramente grazie alle esperienze individuali. Diveniamo fragili, le gravi malattie invalidanti ci avvicinano alla fine. La mente, ancora non abituata, funziona ma fatica ad accettare il declino, la dipendenza e i rischi.
Quando ancora appartenevo alla prima categoria, cercai di proteggere il cuore, rimasi attivo, evitai di scivolare nell’abulia, lasciandomi andare. Mi animava la bulimia per la vita, mai “sazio di giorni”. Ho adeguato a fatica la mente ai segnali del corpo, ogniqualvolta il mio cuore ha patito danni o rischi. Ho avuto un corpo docile e una mente riottosa.
Nell’ultimo anno ho colto la forbice tra l’esuberanza della mente e l’indebolirsi improvviso del corpo. Ho faticato molto a sintonizzare corpo e mente, poli apparenti, perché compagni inscindibili. Da invalido devo sottomettermi al corpo e a dure regole nello stile di vita. Mia moglie mi sorveglia e bacchetta, impaurita di perdermi. Di mio posso contare sulla consuetudine, subentrata negli anni, con la lentezza, il privilegio delle pause, e la disponibilità sovrana sul tempo per me. Ora è il tempo della coppia, una vita condivisa dopo fallimenti, scelte sbagliate, dolori. Dopo la morte di mio fratello i legami familiari si sono corrotti o dissolti, non senza dolori. Mi restano due cugini, Eugenio ed Angelo, che sono vicini a Eva e a me. Potrò dedicarmi a molte amicizie: antiche, che risalgono all’infanzia, acquisiti al liceo e l’università, nell’età adulta o recenti. Persone eccellenti, selezionate nel tempo; legami forti, che donano dolcezza alla vecchiaia, come insegna Seneca. L’intimità è un bene difficile da raggiungere, ma quando c’è è impagabile. Meglio gioie consolidate a relazioni effimere.
Ho dovuto ridurre al minimo i miei progetti. Il desiderio ha rinunciato alle sue pretese. Mi dedicherò alla lettura, allo studio e alla scrittura. Non attenderò melanconicamente la fine. Mi batto per vivere, riabilitarmi entro i miei limiti. Montale scrisse: “Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale”. Non lo sono stato, ma il tempo è giunto. Resto un uomo curioso anche se escluso dal flusso della vita e se costretto a duri sacrifici per vivere. Rifletto sul passato. Benedetto Croce nel 1915 denunciava il mancato “ingentilirsi degli animi” nelle fangose trincee di una lotta fratricida, che Benedetto XV definì “inutile strage”.
Il mio animo si è ingentilito. Il bilancio della mia vita è buono. L’insegnamento si è rivelato un lavoro sempre peggiore e umiliante, ma mi sono riscattato con altri secondi lavori. Sono stato inutile nella vita pubblica da consigliere, ma sono soddisfatto del mio impegno civile. Viaggiando ho sperimentato la sindrome di Stendhal. Ho letto, studiato, scritto. Sono grato alla vita, che mi ha dato tanto, come cantava Mercedes Sosa. Sto riscoprendo il piacere di vivere nonostante le malattie che limitano la qualità della vita. Alle infermità non posso porre rimedio, devo accettarle, ma sono vivo e mi batto per mantener il precario grado di salute in cui verso. Ognuno invecchia a modo suo. Il lavoro autobiografico, preliminare cardine di qualsiasi riflessione sugli stili di vota, si proietta sul nostro “stare nel mondo”. Per anni ho teorizzato l’ars senescendi e l’ars moriendi, dal Fedone di Platone a Seneca, da Montaigne ai contemporanei. Bisogna prepararsi a morire, seguendo Marco Aurelio: “Vivi la tua giornata come se fosse l’ultima”. Ho frequentato gli studi di Hadot sugli antichi esercizi spirituali. Ma, posto davanti alla fine, ho capito che in verità non si è mai pronti. Qui la filosofia si rivela inutile. Il miglior dono che ho ricevuto passando di colpo dal primo all’ultimo tipo di terza età, è stato la relazione con Eva, una giovane donna adulta, che mi ama riamata, che con la sua cura si sacrifica per me oltre il lavoro, la spesa e la casa, che mi sostiene, dà forza e incoraggia. Con lei vivere è bellissimo, che mi rende felice oltre ogni dolore o infelicità che ho patito. Sono parole che le devo. Se mai fosse possibile un’ars moriendi, lei mi accompagnerebbe oltre la soglia. La mia arte è lei con il suo sorriso.
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