Con Giorgio Paolucci, scrittore, vicedirettore di Avvenire ora in pensione, ho condiviso tra il 1972 ed il 1979 la frequenza dell’università Statale di Milano. Anni pesanti, di piombo come sono stati più volte definiti, dove il solo fatto di attaccare un manifesto “cattolico” poteva costare le minacce, l’inseguimento sino alle percosse fisiche.
Ho ritrovato l’amico in occasione della presentazione della sua ultima fatica “Cento ripartenze” (edizioni Itaca) presso la parrocchia dei Santi Angeli Custodi a Roma. Nella società ipertecnologica, individualista e performante in cui viviamo, questo libro si muove controcorrente: racconta esperienze di persone che hanno toccato il fondo ma che sono ripartite. Raccoglie ed integra una rubrica che Paolucci ha scritto su Avvenire durante l’estate del 2022. Milletrecento battute ogni mattina sulla prima pagina del giornale per testimoniare che si può risalire da ogni abisso.
Nel nostro vivere quotidiano l’esperienza di cadere, toccare il fondo, non farcela più è educatamente rimossa. Cerchiamo di far finta che non ci sia, la nascondiamo come la polvere sotto il tappeto, come il parente scomodo che non vogliamo venga a trovarci. Magari preghiamo pure Dio che non debba toccare noi o i nostri figli (“con tutte le cose buone che faccio….”). Il limite, se c’è, è meglio che stia nel giardino del vicino.
Eppure non siamo infrangibili.
Il libro prende le mosse da alcune esperienze personali dell’autore: un tumore alle corde vocali, una nipote affetta da una malattia rara, la perdita’ dell’amato papà. Da qui l’orizzonte si è allargato sino ad abbracciare racconti di detenuti in carcere, dipendenze da droga o gioco, anziani abbandonati, dissesti economici, migranti giunti in Italia alla ricerca di una nuova vita.
“Nelle ripartenze di Paolucci – scrive lo scrittore Daniele Mencarelli nella prefazione – trovate tutto quello che l’uomo incontra nella sua vita: le vicende liete e quelle tragiche, quelle personali e quelle che riguardano famiglie e popoli interi. In ognuna di queste Polaroid, citata o meno, si scorge sempre una presenza. La presenza della dismisura. Di una mancanza di cui ad un certo punto ci sentiamo pieni”.
Un libro utile in questo periodo di buio. Siamo reduci da tre anni di covid. C’è la guerra, che solo poco fa era impensabile. Ci sono preoccupazioni economiche. Un clima di violenza, individualismo assassino, cinismo che anche recenti fatti di cronaca ci hanno ricordato. Eppure per quanto oscura possa essere la notte c’è sempre una luce da cui ripartire. Può accadere in un carcere o in una comunità di recupero, tra le fredde mure di una sala operatoria o in una classe scolastica.
Ma dove cercare queste fiammelle? L’autore nelle cento storie suggerisce alcuni luoghi privilegiati: monasteri di clausura, pellegrinaggi devozionali, associazioni di volontariato, vite di Santi. “Nella storia di ognuno di noi – commenta ancora Mencarelli - almeno per un secondo compare non il volto ma la mano che ci prende e ci mette su una via fatta di salvezza. Sta a noi, poi, percorrerla o meno”. La nostra umanità, così come l’ha pensata Colui che l’ha creata, non è fatta per la distruzione o il fallimento ma per il suo compimento anche quando tutte le circostanze sembrano dire il contrario. E questo libro ne è fedele testimonianza.
You must be logged in to post a comment Login