Il compianto professor Guido Petter, nella premessa al suo famoso libro: “Il mestiere di genitore,” diceva che il mestiere di genitore era certo uno dei più affascinanti ma anche dei più difficili, sia per la complessità delle situazioni che si devono affrontare, sia perché quasi nessuno ha ricevuto al riguardo una preparazione specifica. Del resto genitori non si nasce, ma lo si diventa attraverso tentativi ed errori, magari con l’aiuto di esperti, seguendo corsi, leggendo manuali e riviste ad hoc. Però nonostante siano passati ormai venti anni dall’affermazione di Guido Petter riportata sopra, e nonostante le agenzie formative per gli adulti si siano moltiplicate e impegnate a fornire guide e strumenti ai coniugi per aiutarli ad assolvere al meglio alla propria funzione genitoriale, la difficoltà dell’essere genitore non solo non è diventata più facile, e nemmeno più affascinante, ma più complessa e tormentata tanto da indurre molti coniugi a rinunciare e/o a delegare ad altri la cura dei propri figli, diventata troppo onerosa e una fatica improba.
Quali le cause? Certamente il processo di globalizzazione che ha comportato mutamenti epocali nell’economia, nella politica, nella scuola, nella famiglia, nella morale, nella comunicazione inducendo forme di spaesamento e di smarrimento. Le trasformazioni di questi ultimi anni hanno determinato mutazioni antropologiche che hanno cambiato il modo di essere bambini, ragazzi, adolescenti, adulti. Per ciò che concerne gli adolescenti c’è da dire che il disagio evolutivo è sempre stato “fisiologico”: da tempo crescere è costato fatica, ma oggi c’è un disagio aggiuntivo e al tempo diffuso e trasversale che riguarda tutti: figli e genitori. Ciò è il risultato della complessità culturale del nostro tempo e della crisi di valori che comporta.
La cultura del fare, del consumare, dell’apparire ha portato il sopravvento sulla cultura dell’essere, creando una gioventù centrata sul consumismo, sull’effimero, la ricerca del successo e sull’esibizione del corpo.
Da qualche anno varie istituzioni, quali per esempio l’Unesco e la Chiesa, per citare due delle maggiori, parlano di crisi della scuola e di valori e lo stesso Papa Benedetto XVI ha parlato di emergenza educativa.
Tutti gli esponenti delle più importanti agenzie formative parlano di una grande emergenza perché vedono la fatica quotidiana che fanno professori e genitori, che hanno a cuore l’educazione delle giovani generazioni, a trasmettere valori e le ragioni del vivere. Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità dei genitori di educare i propri figli; il mondo adulto non riesce più a parlare ai bambini, agli adolescenti ai giovani . “I padri – dice il cardinale Caffarra – sono diventati stranieri all’universo di senso, non sanno più che cosa dire, hanno perso la memoria e sono diventati testimoni del nulla e trasmettitori di regole”. Quali sono le cause di questi fenomeni? Certamente una delle cause – rammenta Paolo Bustaffa, direttore del Servizio Informazione Religiosa – è la confusione tra autoritarismo e autorità: nel contrastare giustamente il primo si è arrivati alla ‘morte dei padri’, alla rimozione dell’autorità intesa come servizio alla crescita della persona e della comunità. Oscurato il padre si è oscurata la memoria; la perdita della memoria ha portato all’appiattimento nel presente; e ciò ha aperto all’incertezza, all’incapacità di disegnare il futuro con i colori della speranza e della fiducia”.
Le famiglie italiane sono sempre meno in grado di reggere il passo con le esigenze della società e gli adulti non forniscono senso e proposte plausibili e non danno testimonianza attendibili ai giovani. È in crisi in sostanza la capacità di una generazione di adulti di educare i figli, e un numero sempre maggiore di genitori pensa che nell’attuale condizione sia troppo oneroso o addirittura impossibile. Allora i coniugi, vuoi perché la sociètà attuale li incalza freneticamente togliendo tempo all’ascolto dei figli, vuoi perché non hanno le competenze necessarie per fare fronte alle problematiche giovanili sempre più complesse, rinunciano consapevolmente ad esercitare un doveroso e benefico ruolo di autorità. Cercano così di supplire alle loro carenze educative e alle relazioni che non riescono a stabilire, dando tante cose: telefonini, abiti firmati, oppure travestendosi da amici dei propri figli in realtà così facendo realizzano nei loro confronti il peggiore dei tradimenti. Che fare? Può la scuola far qualcosa per aiutare i genitori a uscire dalla crisi?
Certo i ragazzi passano metà del loro tempo in ambito scolastico e la scuola può aiutare molto la famiglia nel processo di crescita e di maturazione dei ragazzi; ma a condizione che “i genitori” – dice la professoressa Isabella Guanzini – la smettano di essere sempre più avvocati arroganti e aggressivi di figli fragili o cinici, che approfittano della relativa assenza dei genitori nella loro vita, i quali sembrano rifarsi come in un forfait di interesse e difesa a fine anno, come ristabilendo in una volta la loro autorità e presenza, solo rispetto alla scuola, ormai l’unico ambito ancora preposto a giudicarli, a vigilare sulla loro crescita, e, nel caso a criticarli, sanzionarli, metterli in discussione”.
I professori accusano a loro volta i genitori di scaricare sulla scuola le loro molteplici inefficienze. Credo che i genitori e i professori dovrebbero smetterla di rimpallarsi accuse e inadempienze e mettersi in mente che si è tutti sulla stessa barca e che bisogna cominciare a riconoscere di essere di fronte a problemi difficili, nuovi e comuni che attendono risposte e soluzioni insieme ed articolate. Famiglia e scuola in sostanza dovrebbero muoversi in sinergia sviluppando un patto educativo di lunga durata, che rimetta al centro la persona e ripensi a un progetto educativo condiviso: è necessario un patto di corresponsabilità tra famiglia e scuola di cui l’alunno è parte integrante, in quanto l’educazione non è possibile senza la partecipazione attiva del soggetto. Si tratta di un percorso comune nel quale ognuno dovrà fare la propria parte senza confusione di ruoli. Professori e genitori sono invitati ad impadronirsi dei nuovi linguaggi, veicolati dalle forme nuove multimediali di comunicazione al fine di ridurre il divario tra scuola e vita, tra genitori e figli, fornendo strumenti e competenze ai giovani al fine di renderli cittadini liberi e responsabili in grado di vivere da protagonisti in questo Terzo Millennio.
La scuola e la famiglia sono perciò invitate a ripensare loro stesse, per cercare di ridurre lo scarto tra la consapevolezza dei problemi e la povertà degli strumenti a disposizione, inadeguati e superati ai tempi di una società in continua evoluzione e trasformazione Bisogna offrire ai giovani ascolto, tempo disponibile, modelli significativi e prospettive di futuro. A tal proposito bisogna che genitori e professori ritrovino l’autentico senso dell’educare oggi. Che dovrebbe significare educare oggi?
“Significa stare al pozzo della samaritana – dice ancora Paolo Bustaffa – essere puntuale nel luogo e nel momento in cui ogni persona credente o non credente, dopo la fatica del giorno si ferma e rimane in attesa di una parola e di uno sguardo. In attesa di qualcuno che lo guardi con gli occhi di Dio, di qualcuno che gli parli con tenerezza e l’autorevolezza di Dio, di qualcuno che gli ponga sulle spalle quelle due mani pensate e dipinte da Rembrandt”.
Penso che su questa definizione possano ritrovarsi, al di là delle diverse concezioni del mondo, non solo i credenti, ma anche i non credenti.
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