È finito un altro anno scolastico. Con giugno arriva l’estate, i libri, per chi ne ha voglia, sono quelli ‘leggeri’, da portare sotto l’ombrellone. O nello zaino, durante le lunghe passeggiate, se si ama risalire tra i boschi e trascorrere qualche ora in pineta.
A meno che si preferisca leggere sull’iPad, anziché girare pagina dopo pagina seguendo il filo del racconto.
Ma questo non importa, ognuno sceglie il modo preferito per assaporare la sostanza della lettura che è data proprio dal suo essere il genere che piace: romanzo -rosa o giallo o storico- poesia, biografia o saggio, o altro ancora.
Col passare degli anni quei libri, assaporati nell’intervallo sublime dell’estate, resteranno tra i più cari, come letture di iniziazione, o di svago lieve, o di riflessione sul senso della vita che tanti autori ti mettono davanti, nei racconti delle loro esperienze, delusioni, sconfitte umane o professionali, o successi. Se penso a certe letture di Ignazio Silone e Alberto Moravia, di Carlo Cassola, di Giorgio Bassani, Vasco Pratolini. E poi di Elsa Morante, di Fausta Cialente, di Anna Manzini o di Natalia Ginzburg, di Giuseppe Dessì e Alberto Bevilacqua, di Luigi Santucci. Ma quanti altri?
Se non ci fossero state quelle ore estive e quelle giornate di quieta lettura, e un balcone che guardava sulla valle e sul campanile…L’estate non sarebbe stata tale, con la stessa luce e pienezza.
Quelle ore non sono più tornate. Ma sono rimaste care, perché vissute con un’intensità mai più ritrovata.
La fine di un anno scolastico è sempre un momento indimenticabile, anche un po’ malinconico, ma proprio per questo di profonda essenzialità. Vero spartiacque a volte, quando si passa dalle elementari alla media, o dalla media alla superiore, come era un tempo per chi oggi è nonno o genitore.
Finivano anni spensierati, e niente più compiti delle vacanze. Ma tutto poi cambiava, a ottobre: studi più impegnativi, alquanto selettivi, e spesso tediosi anche nella severità delle aule vetuste. Oggi certo le differenze sono ridotte, pare esserci meno distanza educativa tra grado e grado di scuola, maggiore confidenza tra insegnante e allievo, più uniformità nel modo di vivere di scolaro e scolaro.
Resta il divario tra case, accoglienti per quasi tutti ormai, e edifici invece obsoleti e tristi. Quelli rappezzati di un tempo.
Come lo sono ancora tanti vecchi ospedali e luoghi di pubblico servizio, più paragonabili a vecchie carceri che a spazi destinati alle esigenze della comunità.
Ma il ponte d’estate che cuce infanzia e adolescenza, poi gioventù e ‘maturità,’ il momento in cui si chiude una porta e poi se ne apre un’altra, severa e grande, è un passaggio che rimane scolpito dentro. E tante cose si affollano all’inizio e alla fine di ogni ingresso, tutte amabili, perché resteranno per sempre nella memoria.
Come le foglie della magnolia rosa dietro i vetri, tra i banchi di una terza media a primavera. O il profumo del gelsomino che penetrava a fine maggio nell’aula di liceo ricavata in un antico convento. E scioglieva nell’aria il sentore di una giovinezza lontana di millenni, eppure presente nelle nostre letture di studenti: la chiara figura di Nausicaa, figlia di Alcinoo, Re dei Feaci. La principessa -ricordate?- avanza tra le ancelle, dopo il gioco festoso, che le ha dipinto il viso di soavità. E, appena scopre il volto dello straniero, Odisseo, che chiede accoglienza, capisce da subito che quell’uomo sta cercando di tornare alla sua patria. Ha parole gentili, Nausicaa, e lo osserva sorridente. Guarda verso di lui. E poi verso di noi. Che non la scorderemo mai. Nausicaa dalle bianche braccia continua a vivere, nell’attualità dei versi di Omero,
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