La decisione di togliere alla Corte dei Conti il controllo in corso d’opera sul PNRR non è un’idea maturata adesso, come invece parerebbero suggerire le cronache di questi giorni. Non è stata un’alzata d’ingegno di questo governo. Lo escludeva già un decreto-legge di Draghi del maggio 2021, convertito a luglio dello stesso anno. Pensato al momento della costruzione dell’intero progetto di Ripresa e Resilienza (pubblicato sul sito della PCM il 5.5.21), quando si comprese che non sarebbe stato possibile accollare questo enorme Piano di riassetto del Paese ad un’amministrazione pubblica esangue (nazionale, regionale, comunale). Già soverchiata dall’incapacità di affrontare la quotidianità, assillata da una miriade di problemi irrisolti e falcidiata da un blocco più che decennale del turn over, imposto dalle politiche di austerità intervenute a seguito della crisi globale del 2008, che hanno sottratto in pochi anni (2008-2019) quasi 280 mila unità lavorative (-7,4%), lasciando gli uffici sguarniti, soprattutto in realtà come il Sud, afflitto da carenze endemiche, mai risolte. Non saremmo stati credibili, in Europa, a sostenere che quest’Armata Brancaleone avrebbe potuto progettare e realizzare opere per 235 MLD di euro in pochi anni (Di Mascio, Natalini, aprile 2023).
Per questo, il progetto originario del PNRR prevedeva, tra le altre cose, un sistema organico di azioni in modo da mettere le amministrazioni in condizione di affrontare questa sfida e per questo destinava fondi per modernizzare la pubblica amministrazione, per dotarla di strumenti informatici adeguati e per indire gare da svolgere il più rapidamente possibile, per assumere del personale in più (2800 unità). All’interno di questo quadro, erano previste anche deroghe sui controlli, per evitare che “la realizzazione degli interventi fosse intralciata o ritardata dall’invadenza delle corti, per cui sono stati posti dei limiti all’azione dei giudici contabili (per il danno erariale), di quelli penali (per l’abuso di ufficio) e da ultimo anche di quelli amministrativi, rimodellandone i poteri cautelari al fine di rendere meramente residuale l’adozione di misure sospensive”. Dunque, un sistema derogatorio fondato su ragioni oggettive, concepito a tutto tondo, per includere indistintamente magistratura ordinaria, amministrativa e contabile, senza che fossero sollevate obiezioni.
E tuttavia questo non significa che i controlli non ci saranno. Rimangono ben saldi quelli usuali e soprattutto ci sarà quello della Corte dei Conti europea, longa manus del soggetto erogatore, che non farà rimpiangere quello nostrano. Già durante la fase di costruzione del progetto i controlli han dimostrato di essere estesi, puntuali e ficcanti. Dunque, visto in questo quadro il fatto che in questi giorni sia stato emanato un decreto-legge per eliminare il controllo “concomitante”, francamente non può essere preso come un vulnus alla legalità e alla trasparenza. O addirittura, l’anticamera di una svolta autoritaria. Più che altro, sembra un tentativo di chi ha l’acqua alla gola per scadenze improcrastinabili e che quindi cerca di evitare in ogni modo i tempi morti, per portare a casa quella considerevole massa di danaro che l’Europa ci ha benevolmente assegnato e che, invece, stiamo facendo di tutto per rimandarla al mittente senza possibilità di utilizzarla.
Il controllo concomitante è stato istituito di recente, nel 2009 (l. 15 del 4.3.2009, art. 11, c. 2). Nelle intenzioni era nato per “accelerare gli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale”. E prevedeva che la Corte dei conti potesse effettuare controlli su “gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento” – il che spiega l’uso dell’appellativo “concomitante”. Ma il Collegio per dare efficacia a questo tipo di controllo fu istituito solo a novembre del 2021, dando esiti che non si sono dimostrati particolarmente incisivi e non hanno trovato, come è stato puntualmente osservato in letteratura, neanche “una compiuta applicazione” (Pagliarin 2023). Era logico arrivare alla conclusione che questa duplicazione – controllo nazionale e controllo europeo – avrebbero portato solo ritardi, disguidi e forse anche qualche conflittualità, da cui la scelta comprensibile di privarsene (col decreto legge di qualche giorno fa). Dunque, forse, quel che ora c’è da fare non è tanto discutere fino allo sfinimento sui controlli (ce ne sono anche troppi e sono spesso tediosi e inefficaci), quanto porre la massima attenzione affinchè il progetto si realizzi così com’era stato concepito, perché ha tutta l’aria di essere uno strumento in grado di produrre effetti positivi e di ampia portata sulla nostra economia. Se invece tutto quanto dovesse essere stravolto sotto la spinta dell’urgenza, c’è il rischio di perdere un’occasione irripetibile. Dalla politica, anche d’opposizione, non vorremmo stare a sentir polemiche, ma solo verità, buone o cattive che siano. Per veder di ridurre quella distanza siderale che c’è tra politica e società.
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