Facendo riferimento alla biografia storico-critica documentaria e letteraria concernente l’esodo di Israele dall’Egitto faraonico, e in particolare al Libro dell’Esodo 1,11 (menzione di Ramses II, collocazione cronologica nel XIII secolo), tre ipotesi paiono affiorare sull’itinerario del riscatto.
La prima può riguardare la via del mare, più lineare e diretta dall’Egitto a Canaan, presupponendo un esodo d’espulsione di gruppi tribali ribelli a sfida del controllo faraonico, esercitato con posti di blocco superabili solo nel caso di un’espulsione ufficiale. Nel secondo percorso che la Bibbia dà come molto complicato, faticoso e rischioso, affidato alle piste deserte del Sinai, si tratta di un esodo fuga, che si colloca nel contesto di una presenza egiziana limitata. Il terzo esodo si configura in due momenti: 1) a partire dal XV secolo a.C. gli Egiziani con Tutmosi III avevano conquistato e sottomesso al loro regime la terra promessa, in cui erano insediati gli Ebrei, costituendo una rete di città-stato satelliti. Soggetti a tributi fiscali, gli Ebrei dovevano inviare al Faraone anche schiavi, donne, prigionieri (v. una lettera diplomatica rinvenuta a Tell Amarna in Egitto). Solo che nel XIII secolo si determinarono nella regione occupata delle ribellioni al giogo faraonico, con interventi repressivi (v. la famosa iscrizione del 1207 a.C. conservata nel Museo Archeologico del Cairo, che presenta enfaticamente l’annientamento di Israele “senza seme” da parte del Faraone Mernepraht). In realtà era in corso una crisi del suo potere per la forte immigrazione di popoli del mare attorno al 1150 a.C., sino all’ascesa di una nuova dinastia straniera col collasso del regno faraonico. Onde la libertà conquistata da Israele come dono miracoloso del cielo secondo la Bibbia.
Si tratterebbe allora di un esodo in patria, con la mediazione rispetto al protagonismo del Signore, di un mediatore, il capo tribù Mosè; di un evento storico, non derivato dal mito o da una leggenda, cui fa seguito inscindibilmente l’interpretazione teologica, che si esprime particolarmente attraverso simboli. La dimensione epica e teologica intrecciate vengono imposte all’evento storico redazionalmente trasfigurato. La presenza divina e trascendente opera in simultanea con l’azione umana. Così non si riducono ermeneuticamente i testi biblici a mere trasposizioni narrative di tesi teologiche per renderle meno astratte.
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