Va sottolineato, perché è una novità, il fatto che a inizio maggio (4 maggio) nove Paesi europei, su iniziativa della Germania, abbiano firmato una dichiarazione comune, per arrivare ad «un processo decisionale più efficace e veloce, decisivo per preparare l’Ue al futuro e renderla attore geopolitico». Lo hanno chiamato il “Gruppo di Amici” (Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Finlandia e Slovenia), un nome, evidentemente, per darsi un profilo il più basso possibile, per non dare troppo nell’occhio ed evitare quel minimo di protagonismo che fa diventare subito indigesta qualsiasi cosa, soprattutto in ambito politico. E in effetti, ci sono riusciti benissimo a non farsi notare perché praticamente non ne ha parlato nessuno.
In realtà, guardando questo documento con gli occhi della speranza, ha del rivoluzionario il fatto che i ministri degli esteri di questi nove Paesi abbiano assunto “un’iniziativa senza precedenti per riformare il sistema di voto dell’Unione. I capi delle diplomazie hanno proposto di abbandonare la regola dell’unanimità in favore della “maggioranza qualificata sulle scelte di politica estera e di sicurezza” (Valentino, Corsera 11.5.23).
Per la verità, Olaf Scholz, al momento del suo insediamento alla cancelleria tedesca, aveva sottolineato subito la necessità, per la commissione europea, di andare oltre l’unanimità. Una sorta di residuato bellico di metà anni ’60, capace di creare il più piatto immobilismo, perché è sufficiente che uno solo dei componenti, per convinzione o per opportunismo, non sia d’accordo, perché qualsiasi cosa resti al punto di partenza. E invece, non ce lo possiamo più permettere come ha dimostrato la pandemia da Covid 19 e soprattutto la guerra della Russia all’Ucraina. “Di fronte all’aggressione russa all’Ucraina – si legge nel documento – e alle crescenti sfide a livello internazionale, i membri del gruppo di amici sono convinti che i processi di presa delle decisioni in politica estera devono essere adattati alla situazione al fine di rafforzare l’Unione come attore globale. Migliorare la capacità di decisione è centrale anche in vista di compiti futuri. Il gruppo intende conseguire pragmaticamente sviluppi concreti nell’ambito dei processi decisionali in campo di politica estera e di sicurezza e riferirà con regolarità agli stati membri e alle istituzioni europee sulle mosse intraprese”.
L’Unione europea è un’accozzaglia di molte cose ancora troppo diverse, quasi al limite dell’incompatibilità, perché “in parte [è] una alleanza tra Stati, in parte una confederazione di Stati sovrani e, sempre in parte, un’unione di Stati con tratti di federazione” (Cavalli 2023), che dimostra tutti i suoi limiti, soprattutto nei momenti di seria difficoltà, come quelli che stiamo attraversando adesso.
Dunque, fa piacere che qualcosa si muova e di poter annoverare l’Italia tra i soggetti promotori. Non era così scontato, viste le dichiarazioni pre-elettorali di chi, poi, quelle elezioni le ha vinte. Mentre viene un tuffo al cuore sentire del ritorno in campo di personaggi che si sperava di non rivedere più, come il signor Nigel Farage (ex politico inglese, leader di Ukip, il partito per l’indipendenza del Regno Unito) che è stato capace di fare danni serissimi al proprio Paese, l’Inghilterra, con una forsennata campagna referendaria pro Brexit, riportandoci indietro tutti di decenni. Adesso, ammette che è stato un fallimento uscire dall’Unione Europea, ma aggiunge serafico che “è fallita sotto il governo conservatore” (Ippolito, Corsera, 27.5.23). Nel senso che i governi conservatori che avevano appoggiato l’uscita dall’Unione avrebbero tradito il mandato e proprio loro avrebbero “sabotato la Brexit”. Non c’è che dire, un bel salto mortale! Ma non convince più nessuno (si spera) e, difatti, la gente lo ha capito e alle ultime elezioni quel partito è praticamente scomparso.
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