Grande spazio mediatico per la condanna in primo grado di Donald Trump, che dovrà pagare – salvo sicuri ricorsi – 5 milioni di dollari per aggressione sessuale ai danni della scrittrice Jean Carroll nei camerini di un grande magazzino di New York nel 1996 e per averla poi diffamata. Sentenza indubbiamente anche “politica” visto che Trump non è stato considerato colpevole di stupro, che non vi furono denunce 27 anni fa né testimoni e che la “diffamazione” è per l’aver definito “farneticanti” le accuse di Carroll.
Sta di fatto che i media mondiali si sono sbizzarriti su questa piccante vicenda tacendo invece le concomitanti conclusioni della Commissione di inchiesta della Camera dei Rappresentanti a carico dell’attuale presidente Joe Biden, accusato di riciclaggi per milioni di dollari per società di famiglia.
Una vicenda che negli USA è al centro del dibattito, ma che incredibilmente non ha raccolto spazio soprattutto in Italia, in un evidente doppiopesismo informativo.
Il caso è molto serio anche perché chiama in causa la questione ucraina e le pressioni USA esercitate prima del conflitto sulla politica di Kiev che hanno portato al potere Zelensky spiegando anche i motivi dell’attuale posizione americana.
Secondo la commissione – che ha presentato i suoi risultati il 10 maggio – gli investigatori hanno provato le presunte attività illegali di circa 20 società create dalla famiglia Biden per ricevere pagamenti da clienti privati, società estere e governi stranieri – soprattutto Cina e Romania – durante il periodo della vicepresidenza di Biden ai tempi di Obama, si parla di decine di milioni di dollari per fatti che sarebbero già stati bene a conoscenza del Dipartimento del Tesoro USA che però non sarebbe intervenuto per spinte e pressioni politiche.
In particolare, la commissione del Congresso fortemente voluta dai repubblicani sottolinea che i versamenti ai Biden vengono da società legate all’intelligence cinese avanzando ombre sulla figura del presidente. La commissione – presieduta dal deputato repubblicano del Kentucky James Corner – in quattro mesi sembra aver raccolto dati molto gravi, riuniti in un primo dossier di 36 pagine presentato alla stampa. Biden è sostanzialmente accusato di aver fatto affari (vietati) durante la sua vicepresidenza soprattutto tramite il figlio Hunter Biden, già al centro di complesse indagini dell’FBI sulla sua società Burisma che operava in Ucraina nel campo delle transazioni energetiche pagando il figlio di Biden 50.000 dollari al mese. Appare anche pesante la posizione del fratello del presidente, Jim, direttamente collegato al governo cinese, mentre la commissione avrebbe confermato che nel periodo di Burisma per l’affitto di una casa di famiglia nel Delaware Hunter avrebbe pagato al padre (allora vicepresidente) 49.000 dollari al mese. Questo aspetto era emerso anche il 20 settembre 2020 da un report del Senato USA che denunciava gli stretti rapporti tra Hunter Biden e società del gas russe, ucraine e cinesi. Ma l’FBI – secondo i repubblicani – rallentò le indagini in vista del voto elettorale ed ora i deputati repubblicani chiedono di ritenere colpevole di oltraggio al Congresso proprio il direttore dell’FBI Christopher Wray che non ha rispettato il mandato di comparizione per chiarire le nuove circostanze emerse dalle indagini. Secondo i parlamentari, inoltre, da tempo l’FBI ha in mano documenti che complicherebbero la posizione del figlio di Biden, ma i suoi vertici non vogliono comunicarli al Congresso.
Il presidente Joe Biden ha pubblicamente difeso suo figlio Hunter che ha affermato di aver nel tempo riconciliato le sue dichiarazioni fiscali, ma è evidente che – comunque andranno le cose – la prossima campagna elettorale per la presidenza USA si giocherà anche sui dossier, i veleni e le carte giudiziarie.
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