Fazio o fazioso? È l’amletico dubbio che ha spinto il governo a indurre alle dimissioni il conduttore di “Che tempo che fa”, minacciando di supervisionare la scelta degli ospiti e di ridurgli lo stipendio nonostante i brillanti ascolti che dovrebbero fare solo piacere alla tv pubblica. Ci risiamo. Le forbici della censura ricompaiono alla Rai ad ogni cambio di governo o, per essere precisi, ad ogni cambio di un certo tipo di governo, quelli autoritari e con più faccia di bronzo. La censura è sempre sbagliata, ma come la gramigna dura da estirpare. Chi non ricorda l’editto bulgaro di Berlusconi contro Luttazzi, Biagi e Santoro ai tempi della presidenza Zaccaria?
Constatare ogni volta che le cose stanno peggio di prima è scoraggiante. Ricordate l’imbarazzante debutto dell’amministrazione Salini-Foa con il governo Conte 1 e le critiche a Claudio Baglioni che si era permesso di commentare il caso Diciotti al festival di Sanremo? E le censure interne mosse al solito Fabio Fazio per aver intervistato il premier francese Macron, europeista, mentre in Italia governavano i sovranisti gialloverdi? L’azienda è terra di conquista e chi vince le elezioni comanda. Con più o meno tatto, con più o meno senso del grottesco. Colpendo non solo i telegiornali, ma anche l’intrattenimento.
All’inizio toccò alla premiata ditta Dario Fo & Franca Rame provare il gusto amaro della mordacchia. Era il 1962 e la coppia, ingaggiata per condurre Canzonissima all’epoca della direzione Bernabei, fu liquidata alla vigilia dell’ottava puntata perché uno sketch sulla sicurezza nei cantieri non piaceva alla DC. Fo e Rame furono allontanati. Ma si salvò la sigla che prendeva in giro il metodo, tutto italiano, di far dimenticare i problemi dando alla gente qualcosa da cantare o un pallone da giocare. “Su cantiam, su cantiam, evitiamo di pensar e per non polemizzar mettiamoci a ballar…” scherzava acido il futuro Premio Nobel. Ma vedeva lontano.
Ancora oggi, sessant’anni dopo, l’Italia viaggia a un ritmo di tre morti al giorno sul lavoro. Tornando a Fazio, lo si accusa d’invitare in trasmissione solo gli amici e gli amici degli amici tutti rigorosamente di sinistra, cioè di fare una televisione schierata. Ma le interviste a personaggi come papa Francesco, Barack Obama, Bill Gates, Michail Gorbaciov e Tony Blair testimoniano il livello qualitativo della sua tv. Le dimissioni sono state salutate dal vicepremier Salvini con uno sprezzante “Belli ciao” che accomuna Fazio e Litizzetto. Ma chi conosce il mestiere del giornalista sa che a certe interviste si arriva solo con il prestigio personale.
Il lupo, cioè la politica, non perde il vizio. Dov’è la novità? Quale sarebbe il gesto di discontinuità del governo Meloni rispetto al passato? Chi viene eletto diventa il portatore unico della verità, l’estremo difensore degli interessi collettivi che curiosamente coincidono con la propria poltrona, l’ultimo baluardo della libertà contro la “cattiva informazione”. E in nome della libertà si colpisce la divergenza di vedute, la critica, il dissenso. La storia insegna. Il potere non accetta le critiche, non le ha mai accettate. Per la semplice ragione che lo mettono in discussione. E non ci si venga a dire che finalmente ora le cose stanno cambiando.
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