Il 22 maggio 1873 Alessandro Manzoni moriva a Milano, dopo essere caduto uscendo dalla chiesa di San Fedele. Pertanto quest’anno ricorrono centocinquant’anni dalla sua scomparsa.
Fiumi di inchiostro sono stati sparsi su di lui e sulle sue opere. È giusto lasciare ai critici, letterari e non solo, il compito di analizzarne l’opera, il pensiero, l’importanza che ha avuto nell’evoluzione culturale, e direi anche civile, del nostro paese.
Tutti gli italiani di media cultura conoscono, complici gli sceneggiati televisivi, la storia di Renzo e Lucia: mi riferisco a una conoscenza generica dei Promessi Sposi, o di memoria scolastica per lo più imposta dai programmi e dagli insegnanti. Il primo e più grande romanzo della nostra letteratura in un percorso scolastico non si può ignorare, anche se può risultare “noioso” a ragazzi di quattordici, quindici anni. Non è facile proporglielo correttamente: infatti non si può ridurlo a una specie di telenovela, dimenticando il suo valore di romanzo “ storico”. Chi scrive lo ha apprezzato in tutta la sua vastità e profondità solo nell’età adulta.
Una cosa è importante: chi lo legga per la prima volta deve sgomberare il capo da pregiudizi, come sempre deve avvenire di fronte a un’opera d’arte, e valutare quanto di verità umana nonché di capacità in questo caso narrativa mostra. Nelle pagine dei Promessi Sposi ci sono, e ci siamo, tutti. Ogni personaggio rappresenta almeno un aspetto dell’animo umano, di quel “guazzabuglio del cuore” di fronte al quale anche il Manzoni si arresta perplesso (nel caso del padre della monaca di Monza ). Ogni protagonista della storia ci conduce a uno spettacolo, incarna stati d’animo che conosciamo o abbiamo conosciuto, virtù o difetti che ci caratterizzano. Il romanzo coniuga magistralmente verità storica e invenzione, è popolare e “alto” nello stesso tempo.
E non è riducibile a un’ epopea della Provvidenza. Ha fatto bene la critica moderna ad approfondire il pessimismo manzoniano: lasciando da parte l’influenza del giansenismo e, a contrasto, la convinzione che l’uomo possa con le sue forze e l’aiuto divino vincere il male ci sono passaggi che fanno capire come l’uomo Manzoni non fosse tranquillo e del tutto pacificato nella fede. Occorre tenerne presente la biografia, non limitarsi al ritratto che di solito si fa di lui.
Quando, nel cap. VIII, padre Cristoforo dice, salutandoli, ai tre fuggiaschi (Renzo, Lucia e Agnese) “il cuor mi dice che ci rivedremo presto”, Il Manzoni commenta: “Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto”.
Basta questa verità a fare dei Promessi Sposi un romanzo sempre attuale.
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