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Politica

CARROCCIO IN UN VICOLO CIECO

MANIGLIO BOTTI - 02/06/2012

Renzo Bossi, il “Trota”

L’albanese è una lingua ostica, complessa. Per rendersene conto basta fare una visita a Google traduttore e immettere nella stringa qualche frase di circostanza. Il risultato scoraggia l’apprendimento.

E anche l’italiano non è una lingua facile da imparare, almeno da parte degli stranieri, così ricco di regole, regolette e eccezioni delle eccezioni. Ma mentre i nostri dirimpettai adriatici sembrano avere una predisposizione particolare per l’idioma di Dante, tanto da riuscire a parlarlo presto e bene e senza inflessioni (si dice che vi riescano anche grazie alla frequentazione delle nostre trasmissioni tv), i compatrioti che discutono in corretto albanese sono davvero pochi. Perciò non ci meraviglia che il figlio di Bossi, Renzino il Trota, abbia precisato di non conoscere nemmeno una parola di albanese e di non sapere come e perché il suo nome sia comparso tra quelli dei laureati dell’università privata Kristal di Tirana: laurea in economia, ventinove esami in un anno (più di due al mese, dunque), tutti in lingua.

Stendiamo un velo sulle vicende ultime e recenti della Lega. Insistere sarebbe come “pikàgk a vun che caga”. L’espressione è pittoresca ma letteraria, ripresa da uno scrittore autoctono, Piero Chiara da Luino (si veda a pagina 36 di “Il piatto piange” nell’edizione Oscar Mondadori del 1978). Certo, gli scandali della “Family” bossiana hanno contribuito la loro parte alla mostruosa débacle elettorale, tuttavia si può a buon diritto considerare che, nonostante l’elettorato tradizionale – il cosiddetto “zoccolo duro” – abbia continuato fideisticamente a porre la crocetta sul simbolo del Carroccio, a venir meno stavolta sia stato l’elettorato di opinione, il quale elettorato o è rimasto a casa o ha preferito percorrere nuove e grilline strade.

Il costituzionalista Michele Ainis ha scritto un illuminante articolo sul Corriere della Sera: in Italia esiste anche la “sindrome da ventennio”. Cioè, vent’anni dopo un regime – e più a ragione se questo ci ha trascinato nel baratro o sul bordo di esso, promettendo l’impromettibile – ci si stanca e si passa ad altro; il riferimento più diretto, ovviamente, è quello al ventennio fascista. La Lega Nord-Lega lombarda per l’indipendenza della Padania i vent’anni di regime (specie nel Varesotto) li ha già toccati o li sta toccando; Berlusconi (sempreché non s’inventi qualcosa di nuovo e di diverso) è sceso in campo diciott’anni fa.

Ora, considerato che il compito di Bobo Maroni – a giudizio della maggior parte l’uomo destinato a prendere il testimone dalle mani di un affaticato Umberto Bossi e a guidare la nuova Lega – ogni giorno che passa appare sempre più difficile, si notano alcune grosse contraddizioni nel movimento. Per esempio: alcuni dei giovani leghisti rampanti, tutti maroniani, anche a Varese, affermano che per rilanciare il Carroccio bisogna ripartire dal federalismo; d’altra parte Bobo Maroni ha detto che sul federalismo la Lega ha fallito.

Non v’è ragione di dubitare delle parole di Bobo Maroni che, negli ultimi diciott’anni, nei governi di Berlusconi che si sono via via succeduti è stato ministro dell’interno (due volte) e ministro del lavoro e delle politiche sociali. Altri capi del leghismo hanno ricoperto dicasteri importantissimi: Umberto Bossi è stato ministro delle riforme per il federalismo, Francesco Speroni fu ministro delle riforme, Giancarlo Pagliarini ministro del bilancio, Roberto Castelli ministro della giustizia, Roberto Calderoli è stato ministro delle riforme istituzionali e della devoluzione e poi ministro della semplificazione… Bè se non ci sono riusciti loro a dare il federalismo agli italiani, se – come dice Maroni – sul federalismo la Lega ha fallito, com’è possibile pensare che vi riescano adesso o in un prossimo futuro, quando il ritorno al governo del Paese, per loro stessa ammissione e scelta, è sempre più improbabile?

Ritirarsi sdegnosamente in Padania (ma dove, esattamente?) non sembra nemmeno la decisione più giusta e opportuna, visto che – si legge ogni tanto – nemmeno è da escludere un riabbraccio con Silvio Berlusconi, pena la scomparsa dall’orbe terracqueo politico (e rimborsabile). E del tutto chimeriche o provocatorie o dettate dal mero auspicio di sopravvivenza appaiono l’istituzione di macro (o micro) regioni insubriche, l’emissione di monete locali (?), visioni secessionistiche forse addirittura ancora capeggiate da un Bossi che, al momento, ha ben altri pensieri; in famiglia e no.

Il Carroccio sta marciando alla cieca. La Padania sembra quasi la famosa, utopistica ridotta valtellinese entro la quale, negli ultimi mesi di guerra, Mussolini voleva difendere sé stesso e il fascismo repubblichino. Ma, come ha scritto bene Ainis, c’è la sindrome del ventennio da superare. E infine bisogna vincere un’altra legge… imbattibile: il tempo che passa, i tramonti, gli uomini che non solo si stancano ma inesorabilmente invecchiano, sfumando nei titoli di coda come i desideri o i sogni.

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