La lunga lista di iniziative con cui Papa Francesco si sta instancabilmente adoperando per una cessazione delle ostilità tra Russia e Ucraina si arricchisce di un nuovo tassello: ogni sabato del mese di maggio alle 21 i fedeli romani e turisti di passaggio, hanno l’opportunità di riunirsi in piazza San Pietro per recitare il rosario con processione ‘aux flambeaux’ e chiedere alla Regina della pace la fine della guerra.
Qualche ora prima è possibile partecipare anche ad un itinerario mariano all’interno della Basilica tra le statue e le icone che rappresentano la mamma di Gesù.
Da quando il 24 Febbraio del 2022 le Forze armate della Federazione russa hanno iniziato l’invasione dell’Ucraina, si calcola siano stati almeno duecento gli appelli per la pace di Papa Francesco lanciati in Udienze Generali, Angelus, omelie e incontri. Parole che sono state raccolte anche in un volume, edito da Solferino, “Il coraggio della pace”.
“Con la guerra siamo tutti sconfitti”, “la guerra è una follia”, “vorrei appellarmi a quanti hanno responsabilità politiche perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, il Dio della pace e non della guerra” sono solo alcune delle espressioni più ricorrenti negli interventi di Bergoglio, unico tra i leader del mondo a tenere dritta la barra della ricerca della pace. Non a caso al rientro del suo recente viaggio in Ungheria papa Francesco ha rivelato l’esistenza di un piano diplomatico della Santa Sede per arrivare ad una tregua tra Putin e Zelensky.
«La Santa Sede – osserva il segretario di Stato vaticano Parolin – ha una visione diversa rispetto ai singoli Stati perché ha uno sguardo universalistico». «Papa Francesco – rivela ancora il cardinale - vuole andare sia a Mosca che a Kiev, in quanto ritiene che un servizio alla pace può essere fatto solo se riuscirà ad incontrare i due Presidenti». Il faccia a faccia della scorsa settimana tra Bergoglio e Zelensky è stato un assaggio del percorso intrapreso.
Per quanto paradossale possa sembrare Bergoglio si rende conto che l’Europa si è già abituata all’esistenza di un conflitto armato nel suo seno. Ed a questa deriva esistenziale oppone tutte le sue ‘buone armi’: quelle della preghiera, della carità e della diplomazia. Ha indetto in Quaresima giornate di digiuno, ha più volte inviato come suoi rappresentanti i cardinali Krajewski e Czerny in diverse cittadine ucraine per portare solidarietà e vicinanza ai profughi e alle vittime della guerra. «La loro presenza – ha detto il il Pontefice all’Angelus del 6 marzo - è quella non solo del Papa, ma di tutto il popolo cristiano che vuole avvicinarsi e dire: La guerra è una pazzia! Fermatevi, per favore! Guardate quanta crudeltà».
Lo scorso settembre l’elemosiniere pontificio è stato addirittura coinvolto a Zaporizhia in una sparatoria ma le missioni umanitarie non si sono fermate e gli uomini del Vaticano continuano a portare indumenti, viveri, rosari, persino generatori elettrici ed ambulanze perché nessuno si senta solo. Anche il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, monsignor Gallagher, si è più volte recato in Ucraina nelle città martiri di Vorzel,Irpin e Buchalle e ha pregato davanti alle fosse comuni.
Diplomazia vaticana a pieno ritmo. Colloqui formali e informali. Visite all’ambasciatore russo presso la Santa Sede, incontri con esponenti della Chiesa ortodossa, Papa Francesco non tralascia ogni piccolo sentiero di dialogo perché – dice – «chi paga il conto della guerra è la gente, i giovani soldati russi e ucraini, le centinaia di nonni, malati, donne e bambini che vengono bombardati e muoiono». Intanto in San Pietro ogni sabato mille piccole luci si accendono per cercare di rischiarare le tenebre del male e chiedere a Maria il dono della pace.
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