“La pace non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti.” – aveva affermato giorni prima papa Francesco a Budapest. Sull’aereo che lo riconduceva a Roma aveva confidato ai giornalisti che la Santa Sede stava conducendo una missione di pace. Nacquero polemiche intorno alla scarsa abilità diplomatica del Papa, pronto a divulgare davanti a tutti un’operazione che – nelle protocollari intese diplomatiche – doveva restare segreta. Ma papa Francesco parlava con la schietta franchezza e la radicalità che gli provengono dal Vangelo, non con il linguaggio cavilloso dei politici intenti a esporre un pensiero mendace dietro cui si nasconde un progetto contrapposto.
Sono bastati pochi giorni ed ecco che la missione di pace si attua: Zelensky vola a Roma e viene ricevuto da papa Francesco in udienza privatissima. Che cosa si saranno detti? Non lo possiamo sapere, ma quello che è certo è che Zelensky si sarà convinto che la missione di pace del Papa non è legata a alcun potere temporale, ma rivolta alla promozione del bene fra le nazioni, guidata da una posizione non di neutralità, ma di imparzialità, in continuità con quella di Benedetto XV (“La guerra è un’inutile strage”), di Pio XII (“Nulla è perduto con la Pace. Tutto può essere perduto con la guerra.”), di Giovanni XXIII (“La vera pace si non si costruisce con l’equilibrio degli armamenti, ma con la reciproca fiducia.”), di Paolo VI (“Mai più la guerra, mai più la guerra.”), di Giovanni Paolo II° (“Non c’è pace senza giustizia: Non c’è giustizia senza pace.”). Papa Francesco avrà promesso aiuti umanitari, accoglienza dei profughi, richiesta pressante perché vengano restituiti alle proprie famiglie i bambini deportati.
Avrà spiegato al presidente ucraino che tutti viviamo in un’epoca diversa da quella dei blocchi e del torpore che ha caratterizzato gli anni immediatamente successivi al crollo dell’Unione Sovietica, una stagione da lui ben definita con l’espressione “guerra mondiale a pezzi”. Avrà spiegato che le guerre oggi non si fanno più con le mobilitazioni di massa (quale Paese andrebbe oggi a combattere per l’Ucraina?), ma con moderne tecnologie, con militari professionisti o mercenari, che ricevono armi dai paesi che le fabbricano e le vendono.
Potrebbe aver aggiunto che una caratteristica dell’attuale guerra è che essa si svolge in un mondo che non si dimostra più omogeneo dal punto di vista confessionale: è una guerra tra cristiani, come lo è stata la prima guerra mondiale, una guerra che mette in serio pericolo il percorso ecumenico e interreligioso: ortodossi fedeli a Mosca contro ortodossi fedeli a Costantinopoli, fratture nelle chiese ucraine. Gli avrà illustrato il suo decennale pontificato durante il quale ha perseguitato la pace e disinnescato tutto ciò che la minaccia: la normalizzazione dei rapporti con Al Azhar culminata con la firma di un documento comune a Abu Dhabi, la lotta alle disuguaglianze, il rifiuto di azioni diplomatiche gridate e poco meditate, che finiscono con il creare muri anziché aprire spazi al dialogo, avrà ricordato i suoi viaggi nelle periferie geografiche, l’impegno per una politica migratoria improntata alla salvezza dei migranti e non solo alla sicurezza degli stati.
Papa Francesco in tal modo ha cercato di illustrare al suo interlocutore le cause politiche, economiche, sanitarie, educative, della sicurezza che portano alla guerra, “Siamo tutti sulla stessa barca” – avrà detto – e tutti desideriamo ardentemente la pace, che si affronta uniti: è il multilateralismo che resta la via maestra per superare gli egoismi nazionali.
Difendendo strenuamente la pace, papa Francesco ci invita a costruirla partendo da noi (possedere le doti della pazienza, della gentilezza), si diffonde in famiglia (avere cura dei piccoli e degli anziani), nel vicinato (un sorriso, un “buon giorno”), nella scuola e nel luogo di lavoro (riconoscere i nostri limiti, aiutare l’amico), nel quartiere (essere vicini a chi ne ha bisogno), in politica (discutere, ma non aggredire; ascoltare prima di dare giudizi), nella cura del pianeta. Sono questi piccoli gesti creativi di pace e un modo per declinare fede e vita.
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