“Varese goes electric”? No, non è la pubblicità di uno spazzolino da denti: grazie ai soldi del PNRR, il capoluogo si dota di una prima flotta di autobus elettrici: saranno 9 bus da 12 metri, per una spesa di 5 milioni di euro, comprensiva delle stazioni di ricarica. I nuovi mezzi sono dei modelli Urbino della polacca Solaris, e, in tema di sostenibilità, “rilanciano” il passo già compiuto in un recente passato con gli 11 modelli Ibridi. Il sindaco Davide Galimberti parla di concretizzazione del PNRR e sottolinea che “Varese è nella top 30 dei capoluoghi di provincia italiani destinatari degli investimenti del PNRR, con l’obiettivo di favorire la crescita della città verso un modello di sviluppo più sostenibile, moderno, inclusivo”. I nuovi bus “Urbino” hanno un’autonomia di 24 ore, possono essere ricaricati a fine servizio, hanno una capacità di un’ottantina di posti (quelli a sedere dipenderanno dalla configurazione) e sono alimentati da una coppia di motori per 240 KW.
Passi avanti insomma, anche se Palazzo Estende non dice quando i nuovi autobus saranno disponibili. È vero, sembra passato n secolo da quando in città arrivavano, forniti dalla Regione Lombardia (ancora era Formigoni) i primi mezzi a batteria: erano delle auto per la Polizia Locale, che forse andavano bene a Milano e nella “Bassa”, ma a Varese non riuscivano nemmeno a superare il dislivello dalla Schiranna e furono accatonati nel deposito ex VV.FF di via 25 Aprile. Forse per quel ricordo sin qui a Palazzo Estense sono stati “timidi” nel salto verso il full electric. I Solaris Urbino sono, è vero, tra i mezzi più validi diffusi, ma non sono nuovissimi. Nel dicembre del 2016 vincevano il riconoscimento della stampa specializzata europea “Bus dell’anno 2017”, ma già l’ATM di Milano li aveva in uso a quel tempo. Mentre Varese si affidava agli “ibridi” a gasolio (Mercedes Citaro con motore elettrico / generatore tra il motore termico e la trasmissione), Como conquistava sul doppio canale dei Fondi ministeriali e PNRR 20 autobus elettrici per 12,5 milioni (6,4 + 6,1 milioni rispettivamente) grazie anche al riconoscimento come città ad alto inquinamento da Pm 10. Già il 5 febbraio del 2018, a Bergamo prendeva il via la prima linea italiana interamente elettrica, appunto con i Solaris, con un investimento che comprendeva stazioni di ricarica e “pensiline smart”. Anche a Genova lo scorso anno sono arrivati gli Urbino da 12 metri, con un contratto da 15 milioni per 30 bus.
Si tratta di un mercato nel quale gioca un ruolo chiave la Consip, la società per gli acquisti “collettivi” della Pubblica Amministrazione, che in questi ultimi 24 mesi si è cimentata in grosse gare: una da 1000 mezzi, di cui nei giorni scorsi sono state comunicate le assegnazioni, e una da 500 che si conclude a fine mese. Un mercato non di massa, ma qualificato dunque a colpi di circa mezzo milione per bus. È n mercato che nel 2022 avrebbe visto in Europa la vendita di 4152 mezzi a batteria e 2018 ibridi (stime Chatrou CME Solutions), con il 30% degli autobus urbani venduti che sono ormai a zero emissioni. A guidare un mercato europeo in espansione sono un’azienda cinese, la Yutong, la britannica Byd-Adl e la tedesca Mercedes, con quote attorno al 10%, seguite non troppo lontano dall’Iveco, il gruppo torinese con sede olandese, e appunto la polacca Solaris, che sta già guardando ai motori a idrogeno. Quest’ultima tra l’altro è stata assorbita nel 2018 dal gruppo spagnolo CAF, un gigante dei trasporti pubblici da 3 miliardi di fatturato.
Mercato movimentato anche in Italia, dove probabilmente si sconta una frammentazione che non aiuta a competere. Iveco lo scorso anno ha annunciato la decisione di tornare a produrre autobus in Italia, proprio con i modelli elettrici e a idrogeno, con produzione a Torino e Foggia. Manovre sono in corso sull’altro gruppo dalle vicende piuttosto tormentate, l’ex Menarini bus, oggi IIA o Industria Italiana Autobus, partecipata per tre quarti dal pubblico, con Invitalia e Leonardo, e per un quarto dai turchi della Karsan.
Elementi questi che portano a una domanda: I piani nazionali ed europei, PNRR incluso, possono indirizzare e sostenere la domanda, che peraltro ha come attori molte aziende di trasporti pubbliche, ma come operare per creare / indirizzare una filiera più vasta, che può coinvolgere molte industrie, non solo i bus ma che va dalle batterie, alle stazioni di ricarica, ai sistemi di comunicazione, alla componentistica elettrica ed elettronica (solo per stare in Lombardia pensiamo a nomi come Legrand / Bticino, ABB, Gewiss, Bosch, Siemens e altre ancora)? Se le nuove tecnologie cambiano il mercato, non è meglio stare nel gruppo di quelli che promuovono il cambiamento invece che in quello di chi lo subisce?
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