Perseveranza e stupore. Il nuovo direttore dell’Avvenire, Marco Girardo, evidenzia due parole nell’editoriale di presentazione. E centra i criteri ispiratori d’un giornale. 1) La tenacia nel lavoro quotidiano, spesso oscuro; l’assiduità a frequentare valori da non smarrire mai; la dedizione verso una causa anche quando tutto sembra congiurare contro. 2) L’intuito di frugare nello scorrere dei fatti, cogliendovi l’aspetto sorprendente; la tensione alla meraviglia per il dettaglio che sembra minimale e invece rivela in nuce l’universalità d’un accadimento; la permeabilità al tot di curioso che si cela dietro un’apparenza routinaria. Sta lì il segreto dello spirito di comunità, dell’ecumenismo umanitario, d’un racconto di vita d’insieme che non è mai banale, se diamo retta alla letteratura dell’anima.
Vale ricordarlo perché il giornalismo talvolta sconfina -meno male- dall’immagine generalista/negativista che gli viene cucita addosso. Non è la corsa a ingigantire un episodio così da raccogliere il facile consenso dei lettori; non l’esaltazione della superficialità a discapito del suo contrario; non la rinunzia a esercitare una “personalità editoriale” pur d’ingraziarsi il favore popolare in una competizione al ribasso (dei contenuti) sperando nel rialzo (delle letture, dei click, degli ascolti). Il giornalismo può essere altro: onestà intellettuale unita a passione civile, narrazione al servizio della persona e non viceversa, econservarsi responsabili-dignitosi-attendibili sempre. Mai scadendo in derive che nessun aumento di copie, visualizzazioni o like potrà giustificare al riscontro intimo, dentro sé stessi.
Ho avuto la fortuna, un po’ d’anni fa, di frequentare don Giuseppe Cacciami, che presiedeva il Sir, l’agenzia d’informazione della Cei, e stava nel consiglio d’amministrazione dell’Avvenire. Il caso (la Provvidenza?) volle che per motivi pastorali lui e per ragioni professionali io, sedessimo ogni giorno alla medesima tavola, in un chiostro aperto all’ospitalità dei laici, sulle rive del Lago Maggiore. Ne nascevano chiacchierate amabili/polemiche sulle notizie fresche e discussioni veementi a proposito di stantìo giornalismo. Imparai molto da un grand’uomo che preferì restare sul suo territorio a fare il prete piuttosto che vestire la talare vescovile. E proseguì parallelamente nell’opera di giornalista-manager, svolgendo su diversi fronti la duplice mansione.
Perseveranza e stupore erano due delle parole evidenziate di frequente da Cacciami: sarebbe stato felice di ritrovarle nel “fondo” d’un direttore del giornale che aveva nel cuore. Quando l’Avvenire cambiò volto, effettuando un restyling grafico resistente nel tempo sino ad arrivare a oggi, il “don” entrò festante in quel chiostro per la pausa pranzo, sventolando il facsimile della nuova prima pagina. E poi stendendola fra piatti, posate, bicchieri, tovaglioli. E illustrandone con trasporto ogni particolare. E trasfigurando la macchia azzurra del cupolone sopra la storica “A” della testata nelle onde del Verbano. Le uniche a insegnargli -diceva- perseveranza e stupore, assieme al giornalismo. Se è un giornalismo sulla cresta dell’onda giusta.
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