Una bella e dolce e cara persona, Andrea.
Venuto a mancare davvero troppo presto.
Lo ricordo qui riproponendo quanto scritto a suo tempo a seguito di uno dei fortunatamente ripetuti incontri nella ‘nostra’ Varese.
“Ti ricordi ‘Il giudizio universale’, quell’oramai antico film di Vittorio De Sica su sceneggiatura di Cesare Zavattini?
Beh, all’inizio della vicenda colà narrata, una voce dal cielo avverte che i viventi saranno giudicati l’uno dopo l’altro in ordine alfabetico.
Subito, la cinepresa scende ad inquadrare un ometto che, felicissimo, si sfrega le mani l’una contro l’altra ripetendo:
‘Mi chiamo Zuzzurro!
Mi chiamo Zuzzurro!’
È contento, sarà certamente tra gli ultimi a passare a miglior vita.
Ecco, da lì ho preso il mio nome d’arte e, per conseguenza, la ‘maschera’ del Commissario”.
Andrea Brambilla, varesino di Varese come tiene ogni volta a sottolineare (è addirittura tornato in città, pochi anni orsono, per fare in modo che da noi nascesse anche suo figlio!), raccontandomi l’origine del suo strano pseudonimo, sorride fra sé.
Scaramantico, pensa che quella lontana scelta gli porti e gli porterà fortuna.
Magnifico cabarettista in coppia con l’ex cognato Gaspare, da almeno quindici anni ha però abbandonato il personaggio che l’ha reso famoso e gira l’Italia proponendo, con successo non inferiore sia nella veste di regista che in quella di attore, commedie ‘prelevate ‘con intelligenza dal vastissimo repertorio teatrale inglese.
Mio ospite in un ‘Salotto’, spiega come nacque la un tempo replicatissima e ancor oggi da tutti ricordata battuta “Ce l’ho qui la brioche!”, uno fra i primi ‘tormentoni ‘di grande successo di origine televisiva.
“Con il mio socio Antonio Formicola (ovviamente, Gaspare), stavamo improvvisando una scenetta in diretta su Antenna Tre.
A un certo punto, lui sparisce.
Se ne va e mi lascia da solo.
In tv il silenzio è improponibile e dovendo comunque riempire quel ‘buco’, chissà perché, mi venne in mente la risposta che, studentello, davo a mia madre replicando ogni giorno più esasperato alla premurosa, e, per un ragazzo, proprio perché costantemente ripetuta, insopportabile, domanda che mi faceva quando ci sentivamo al telefono: ‘L’hai con te la merenda?’
Mi ero portato una mano all’orecchio come fosse la cornetta e con l’altra mi ero dato una botta sulla tasca dell’impermeabile laddove mettevo all’epoca appunto la brioche.
Inspiegabilmente, il pubblico presente in sala rise a crepapelle.
Solo qualche momento dopo, sentendo e vedendo rifare battuta e gesto da un tale in un ufficio postale, ho capito le implicazioni sessuali sottese.
Non ci avevo mai pensato!”
Va davvero così: scrivi o fai qualcosa con un certo intendimento e ti accorgi di aver scritto o fatto dell’altro.
Molti anni orsono, reduce dalla presentazione di un suo romanzo in un ‘Incontro con l’autore’ in non so più quale cittadina della bassa Lombardia, Piero Chiara mi raccontò che il critico che lo aveva intervistato nell’occasione, presentandolo all’inizio della serata e parlando della sua opera, aveva tirato fuori temi ed intendimenti letterari ai quali lui, vergando quelle righe, non aveva neppure pensato.
La cosa lo aveva messo persino in difficoltà.
E, d’altra parte, uno scrittore, uno sceneggiatore, un soggettista sanno bene che, molto spesso, la storia che intendono narrare in un racconto o in un romanzo prende strade tutte sue, a volte totalmente opposte a quelle immaginate davanti alla pagina bianca, nel mentre i personaggi, quasi vivessero di vita propria, ‘agiscono ‘al di là degli intendimenti dello smarrito autore.
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