In prima battuta la tornata di elezioni comunali — conclusasi in centoottantotto comuni — sembra una grande sconfitta del centrodestra, sia del PDL di Silvio Berlusconi e Angelino Alfano sia della Lega Nord ieri di Umberto Bossi e oggi sempre più di Roberto Maroni, che ha perso sette poltrone di sindaco su sette. Il centrodestra nel suo insieme ha perso in tutti i capoluoghi andati al ballottaggio ove governava: a Como, Monza, Alessandria, Asti e Lucca. In prima battuta è proprio così: è una grande sconfitta del centrodestra.
Se però si va oltre le prime impressioni o oltre la teatralità delle TV ci si accorge che è anche qualcosa di più: una grande sconfitta dell’intero establishment politico. In tutti i Comuni più importanti i candidati del centrodestra o sono stati battuti o già erano rimasti fuori dai ballottaggi, ma coloro che li hanno sconfitti o non sono del PD di Pierluigi Bersani o quando lo sono non appartengono alla corrente che fa capo a lui bensì a quella del suo antagonista Nichi Vendola. Inoltre la percentuale dei votanti è stata bassissima rispetto alla tradizione italiana.
Fa particolare impressione la vittoria a Parma di un candidato sindaco espresso dal Movimento Cinque Stelle fondato dal giullare-tribuno Beppe Grillo, il cui unico contenuto è la denigrazione sempre eccessiva, claunesca anche se talvolta (ma non sempre) documentata contro il ceto politico in quanto tale. Ciò che comunque accomuna la platea elettorale di queste votazioni è, da Nord a Sud e da Est a Ovest, una volontà di ostracismo contro il ceto politico al potere. È questo il filo comune che rende comprensibili scelte altrimenti molto eterogenee come ad esempio quella dell’aristocratico Marco Doria a Genova, del vecchio notabile Leoluca Orlando a Palermo e del giovane “grillino” Pizzarotti a Parma.
Sono insomma sempre più numerosi coloro che non vanno più a votare, ma quelli che ci vanno hanno principalmente un desiderio: disarcionare chi era in sella e mettere al suo posto qualcuno che sia o che sembri fuori dal proverbiale Palazzo (o perché mai c’era stato, o perché come Leoluca Orlando, non c’è più da molto tempo ovvero è bravissimo nel far sembrare che sia così). È insomma un momento di furore, di volontà di distruzione di formule e di equilibri politici consolidati: qualcosa che di per sé spinge solo in direzione del caos. Oppure, diciamo in positivo, è un grido di protesta che potrebbe anche aprire la via a svolte salutari, ma solo nella misura in cui venissero alla ribalta un nuovo soggetto politico e un nuovo progetto politico che per ora non si vedono all’orizzonte, e che di certo non possono venir fuori dall’eterogenea e stravagante comitiva dei vincitori di queste votazioni.
www.robironza.wordpress.com
You must be logged in to post a comment Login