Competition is competition. E a destra il duello è tra Fratelli d’Italia e Lega. Non esiste giorno in cui Meloni e Salvini, qualora capiti l’occasione, non se le mandino a dire. Sottovoce, con toni felpati, discretamente. Però facendosi sentire. Gli scenari sono due, quello interno e quello estero. Da non sottovalutare, quello estero, in vista delle europee 2024. La Meloni, leader dei Conservatori nell’Ue, non fa mistero di volersi inserire nell’alleanza storica fra Popolari e Socialisti, così da poter ribaltare l’asse che governa il Continente, nel caso in cui il voto nella primavera ventura andasse in un certo modo. Lavora da tempo a questo, e sembra ricevere segnali d’incoraggiamento.
Salvini prende atto e valuta: mettersi in concorrenza anche lì, a Strasburgo/Bruxelles, oltre che qui, a Roma? Rimanere assieme a Marine Le Pen nel gruppo Identità e democrazia, dove sta un partner imbarazzante come Alternative fur Deutschland, oppure virare al centro, seguendo il medesimo percorso imboccato dalla leader di FdI? Discussione aperta nel Carroccio, ma non ancora nel vivo, anche se c’è chi spinge perché s’arrivi in fretta al sodo.
Se ne dovrebbe parlare nel Consiglio federale del prossimo 29 maggio, intanto vociferati schieramenti si adoperano a supporto delle proprie tesi. Salvini sembra tentato dalla svolta, l’idea -non confermata, ma probabile- è di raccogliere a destra ciò che la Meloni perderà, cancellando l’accentuazione estrema. Lascerebbe spazio ai sovranisti, fra i quali Matteo pescherebbe consensi. Della sua opinione pare il presidente della Camera (e responsabile esteri del leghismo) Lorenzo Fontana, artefice dieci anni fa della trasformazione del partito da padano-federalista a nazional-popolare. Dunque, avanti col Rassemblement national e col gruppome di ID.
Però un’ala importante del leghismo esprime/esprimerebbe un’opinone contraria. Il ragionamento: non si può essere partito di governo in Italia, sposando addirittura una premiership come quella di Draghi, e intendersela in Europa con i radicali che combattono lo status quo accettato dal nostro Paese. Un orientamento che parrebbe caro ai capigruppo di Camera e Senato Molinari/Romeo, a un’icona dell’epoca bossiana a nome Calderoli, al governatore lombardo Attilio Fontana e naturalmente al ministro Giorgetti. Che ovviamente tace. Ma è un tacere significativo e vale più di tante parole, almeno ad avviso dei conoscitori dell’universo verde-nordista. Di sicuro, il tormento fra militanti e “quadri” esiste, circola, va affrontato e risolto. Bisogna scegliere la nuova identità della Lega nell’era del melonismo, e prima che il melonismo imprima la sua identità alla Lega. Eccolo, il vero pericolo. Parte dall’Italia, viaggia in Europa, torna indietro.
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