Non è una confessione dogmatica, bensì il frutto della millenaria e ricchissima sintesi dei molteplici fattori d’ordine etnico-religioso legati allo sviluppo del subcontinente indiano. Ogni fedele possiede un proprio livello di religiosità, senza entrare in contraddizione con i fondamenti più generali dell’induismo.
La premessa è la religione vedica, patrimonio proprio degli Arii, popolazione originaria dell’Asia centro-occidentale, stanziatasi in India nella prima metà del secondo millennio a.C, progenitrice delle stesse stirpi indoeuropee che invasero anche il continente europeo. La testimonianza è raccolta nelle scritture sacre note come veda (conoscenza), formulata dalla Divinità come verità eterna e impersonale.
Tratto fondamentale il desiderio dell’uomo di conciliarsi per il suo benessere terreno le forze misteriose e le energie vitali sentite intorno a sé e ritenute divine in grado di influenzare la propria esistenza, non essendo chiara la distinzione tra astratto e concreto, tra spirito e materia: perciò a queste potenze sono attribuite individualità dai contorni spesso poco definiti. Di qui la proliferazione di figure divine del Pantheon vedico. Gli dei rimangono e tendono a sovrapporsi, a confondersi.
Gli dei però non sono considerati creatori del mondo, bensì nati da un evento primordiale, che ha dato origine al cosmo. Il dio Varuna è sostegno e sovrano del mondo, mentre Indra, il dio guerriero e dominatore, è il restauratore di questo ordine, con l’aiuto di Soma uccide Vrtra, demone in forma di serpente che impediva ai fiumi di scorrere, desideroso del caos. Gli uomini ricorrono agli dei per avere soccorso, mentre questi per alimentare e accrescere le loro energie hanno necessità di riti e sacrifici. Il nuovo corpo dei defunti (il corpo sottile) ha bisogno di essere sostenuto dai riti dei discendenti. L’al di là rimane piuttosto indefinito.
La popolazione aria conosceva una distinzione di ruoli sociali, poi sfociati nella successiva cristallizzazione di casta: i brahmani, officianti dei culti ed élite intellettuale; gli ksatrija, aristocrazia guerriera e i vaisya, incaricati delle attività produttive e durante l’occupazione dell’India i sudra, i servi indigeni. Fulcro della vita religiosa l’azione rituale. Il cosmo è conservato e rigenerato dal rito, ruolo fondamentale quello dei sacerdoti, che fondano la superiorità sacrale della loro classe sull’intera società. È da questo momento che il vedismo viene anche chiamato brahmanesimo (X-VI secolo a.C.). Gli asceti che sceglievano l’isolamento commentarono gli antichi testi, onde le Upanisad (= star seduti accanto; carattere esoterico della raccolta). Ora l’accento si sposta sul conseguimento della liberazione della condizione umana (moksa), avvertita come insoddisfacente (IX-VI secolo a.C.).
La molteplicità viene ridotta a unità (dottrina del brahman-atman). Il brahman viene inteso come il divino in senso assoluto. L’uomo forma un tutt’uno con la vita universale, l’anima individuale, atman, coincide col soffio vitale del mondo. L’uomo aspira a ricongiungersi con la realtà assoluta, con l’aiuto di rigorose pratiche meditative e ascetiche.
Si manifesta la caratteristica mentalità indiana nell’onnipresenza della legge che regpla ogni cosa con immutabile ciclicità, onde il credere nel ciclo delle rinascite o delle morti rinnovate (samsara): l’uomo nasce e muore infinite volte. Tra gli asceti delle Upanisad si fa strada la dottrina del carma (complesso di tutte le azioni compiute da ognuno durante l’esistenza e loro valore spirituale).
You must be logged in to post a comment Login