Varese terra di ciclismo anche femminile. Già perché la profonda traccia lasciata dai Ganna, dai Binda, dai Bertoni e via elencando si è rivelata culla fertile anche per il pedale in rosa. Nei primi sessanta si impone infatti a livello nazionale la nascente stella varesina di Graziella Dal Bello scomparsa lunedì 17 aprile. Con la famiglia di origine veneta (Fontanafredda, provincia di Pordenone ) era arrivata in città nel 1944, a tre anni, diventando nel tempo una varesina a tutto campo. Alta, snella, slanciata non passava inosservata nella bottega del padre Ferruccio addossata agli edifici che componevano il vecchio ammuffito complesso della vecchia scuola media Silvio Pellico e delle contigue Magistrali. Il tutto, come alcuni lettori ricorderanno, strangolava l’innesto di via Sacco su via S. Silvestro procurando guai seri al sia pur modesto traffico dell’epoca.
Il padre Ferruccio Dal Bello, amante ed esperto di animali, accetta la sfida del Comune di rianimare il vecchio giardino zoologico dei Giardini Estense abbandonato da tempo. Con la loro gestione tornano i cigni nel laghetto, i pavoni, i fagiani, le caprette tibetane e i pappagalli all’origine di indimenticabili siparietti alimentati da alcuni buontemponi in visita. Graziella gironzola spesso tra lo zoo e la bottega paterna sfoggiando una bicicletta da corsa, assolutamente improbabile nelle mani di una adolescente di allora.
Una volta, di passaggio, mi sono fermato ad ammirare lei e la sua bici delicatamente addossata al muro. Ne conosceva perfettamente la meccanica: montava due moltipliche e cinque corone che le consentivano di misurare discretamente i colpi di pedale in base alle pendenze e alla proprie forze. Proprio quel che le serviva per raggiungere da Casbeno, dove abitava, l’azienda Figini di via Brunico sede del suo posto di lavoro. Un bel su e giù sulle montagne russe di Varese come le definì Eddy Merckx alla vigilia della sua vittoriosa Tre Valli del 1968.
Insomma venti chilometri al giorno che, come si dice in gergo, “le fanno la gamba”. Può così accompagnare negli allenamenti il fratello Duilio, dilettante di belle speranze che perderà tragicamente la vita in seguito a una caduta. Va talmente forte Graziella che quando la Federazione ciclistica apre alle donne (1962) si candida, ma serve, in via preliminare, che una società ciclistica le apra le porte. A Varese nessuno la prende sul serio, a Como invece sì. Si allena con caparbietà e i successi arrivano uno dopo l’altro. Più volte azzurra ai mondiali, nel ’66 al Vigorelli di Milano si laurea campionessa italiana dell’inseguimento. Ha solo venticinque anni, un grande avvenire e il sostegno della gente. Al punto che un imprenditore veneto, con il marketing nel sangue, progetta nel 1964 una bici da donna pieghevole e di facile sistemazione nei bauli delle automobili. La chiama “Graziella”. Naturalmente da quella sponsorizzazione sui generis non ricava una lira. Nonostante i successi i rapporti tra la campionessa varesina e la Federazione sono spigolosi, segnati da crescenti incomprensioni.
Così Graziella decide di smettere anzi tempo e di raccogliere l’eredità paterna nel commercio di alimenti per animali da lei amatissimi. Era diventata col tempo grande amica di nonna Olga, protettrice dei gatti, e titolare del banchetto Mondo Baffo che una volta al mese animava un pezzo di Corso Matteotti. Graziella Dal Bello lamentava, a ragione, di essere stata dimenticata in fretta dalla sua città d’adozione, ma in occasione dei Mondiali 2008 le sue splendide avventure su due ruote sono tornate all’onore delle cronache. Come del resto merita questa fiera protagonista del ciclismo femminile della prima ora.
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