Nella settimana che sta per concludersi abbiamo ricordato la Liberazione e i giorni dell’eroismo per ottenere la libertà.
L’idea di libertà fonda la fermezza dello Stato e l’uguaglianza di ogni donna e uomo di fronte alla legge. Essa ha consegnato a tutti un’opportunità che si conquista e si difende ad ogni costo. Questa idea ha superato le dispute filosofiche ellenistiche, quelle giuridiche romane, l’interiorizzazione cristiana ed è diventata diritto inalienabile con la rivoluzione francese. La libertà è tensione a combattere ogni imposizione anormale, illegittima e immorale, diventa riconoscimento di questa tensione nella nostra Costituzione, è inquietudine per ricercare la possibilità di essere migliori, è fondata sul coraggio, sul desiderio di domandare e acquisire per sé e per chi ci sta a cuore una vita degna di essere vissuta.
Se leggiamo la storia d’Italia dal Risorgimento alla Resistenza non la troviamo pervasa da questo senso di libertà? Eppure la libertà conquistata in Italia il 25 aprile di 78 anni fa è ancora gracile e inquinabile: per la prima volta dal dopoguerra oggi governa una coalizione il cui partito di maggioranza è restio a condannare il Fascismo di cui è erede. La seconda carica dello Stato diserta le cerimonie in onore dei nostri fratelli caduti per la libertà per recarsi a rendere omaggio al resistente Jan Palach immolatosi per combattere una dittatura similare a quella fascista.
L’Italia d’oggi non perderà il sogno della libertà e non tradirà quei giovani che salirono sui monti per combattere i nemici di un ventennio i quali si accanirono con retate, persecuzioni, carceri, uccisioni sotto il plotone d’esecuzione coloro che non si prostituivano al mito della dittatura, al razzismo tedesco e al mito del sangue. Ma è altrettanto vero che quella libertà sognata e conquistata oggi rischia di cadere in mano a superuomini che riducono la libertà a parole. Non basta ricordare la libertà da una dittatura politica, ma occorre aiutare l’uomo a vivere “l’esperienza” della liberazione dai pregiudizi, della promozione della giustizia soprattutto verso i più poveri che hanno priorità di diritto sulla costruzione del ponte di Messina o degli stadi.
Ricordo quei giorni di ottanta anni fa, quando l’Italia si svegliò “e trovò l’invasor”, l’amico che divenne nemico: il bombardamento del Natale ’43 che nel quartiere ove abitavo provocò decine di morti, la casa dei miei nonni dilaniata, io che mi salvai perché mi spinsero sotto il tavolo della cucina, mio fratello che corse per estrarmi dalle macerie e che, correndo sopra i fili elettrici abbattuti a terra, bruciò le suole delle scarpe, il suono delle sirene che ci invitavano di notte a rifugiarci nelle tane scavate sotto terra, le grida scomposte di mia madre ai funerali di mio fratello ucciso durante una rappresaglia… Mi è impossibile esprimere a parole i sentimenti e i pensieri di allora, mi è impossibile raccontare a chi non ha vissuto le terribili giornate della Resistenza le gesta della violenta monotonia della dittatura perduta. Eppure più si violentava, si intimidiva, si uccideva, più il fiore della libertà cresceva per portare nei cimiteri il profumo della libertà.
E venne il 25 aprile, il giorno in cui, bimbo di cinque, ebbi anch’io il diritto di parola. Mi avevano insegnato, implorato di tacere, di stare zitto, di non dire a nessuno che nel sottotetto di casa si nascondevano un partigiano, cugino di mio padre, e Hans, un disertore tedesco, che passava il tempo a dipingere. Una sua bella tela a olio è arrivata, per eredità, a me ed ora è appesa nel mio studiolo.
Questa libertà bisogna spenderla, farla fruttificare. La moneta di cui disponiamo, che è costata tanti morti e tante attese, ha un’altra faccia: quella della partecipazione. Forse non ci siamo accorgendo che la libertà langue sotto l’arroganza dei partiti personali e lontani dai territori. “La libertà non è star sopra un albero… La libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione” (Giorgio Gaber)
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