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Attualità

SPROFONDO NORD

SANDRO FRIGERIO - 28/04/2023

frontalieriI numeri suonano come un pugno nelle stomaco. Anche se non hanno svelato alcun mistero. Intervenendo a Luino nel Roadshow di presentazione del Programma #Varese 2050, il presidente di Confindusria Varese Roberto Grassi, insieme con l’annuncio di misure per il Nord della Provincia e all’invito a una vasta alleanza tra imprese, istituzioni e associazioni, ha lanciato un allarme secco per il Nord del Varesotto.

Non solo siamo, da Varese in su, sempre più una “dependance” del Ticino, ma il mercato d’oltreconfine drena personale, anche qualificato, grazie a una concorrenza salariale sostanzialmente imbattibile. Il detonatore è la crescita apparentemente senza limiti del frontalierato e i numeri di Confindustria parlano da soli: alla fine del 2022 i frontalieri italiani erano oltre 77.500, 4 mila in più in poco più di un anno e due volte e mezzo in 20 anni (31.800 nel 2002). Più del 42% di questi, ovvero 32.600 vengono dalla provincia di Varese, con quella di Como a ruota. Numeri del resto confermati anche dall’ufficio statistico cantonale che rileva che il 30% dei lavoratori in Ticino sono frontalieri. Le stesse fonti svizzere quantificano lo stipendio medio mensile di un frontaliere: secondo le ultime stime, che sono del 2018, è di circa 4500 franchi, oggi forse 5.000.

Italia e Svizzera sono due sistemi economici del tutto diversi, con aree di criticità quando interagiscono nelle zone di confine: lo dimostrano gli Italiani che corrono in Svizzera per stipendi più alti e Svizzeri che a loro volta si muovono in senso contrario per acquisti a costi ben inferiori. La mazzata per le aziende arriva però dal cuneo fiscale e contributivo. Secondo Confindustria Varese, “fatto 100 euro un ipotetico netto in busta paga, un lavoratore a un’impresa svizzera ne costa intorno ai 129,4 mentre a una italiana 187”. Come si arriva a questi numeri? Un valore medio può essere per la Svizzera un 12% di tassazione (l’80% del 15%), un 11% di oneri pensionistici (metà pagati dall’impresa e metà dal lavoratore) e il resto per oneri sanitari (la “Cassa Malati” e sue integrazioni), che sono l’unica cosa più “pepata” che in Italia. Il frontaliere entro i 20 km dal confine è fiscalmente “invisibile” in Italia.

Naturalmente va aggiunto che con il “Primo pilastro” del sistema, che offre una base pensionistica “di sopravvivenza” (ai costi svizzeri), occorrono 44 anni di contributi senza interruzione, pagando circa il 9% su un reddito medio di 88.200 franchi, per avere una rendita massima di 2450 franchi. Primo e Secondo pilastro insieme coprono solo il 60% del pur lauto stipendio, ma in compenso le pensioni svizzere sono tassate solo al 5%, anche se percepite in Italia. Dal 2024 partirà il nuovo accordo con cui solo i “nuovi frontalieri” saranno assoggettati al regime fiscale ordinario italiano, assai più costoso (da cui saranno detratte le tasse pagate in Svizzera), ma questo è il quadro attuale con cui del nord della provincia occorre oggi fare i conti. E non solo le aziende, perché anche ospedali, strutture sanitarie di assistenza, enti pubblici sono sotto la pressione svizzera.

Una competizione impari, nella quale però il presidente Roberto Grassi non intende gettare la spugna. «Le imprese socialmente responsabili – dice - sono quelle che si mettono in gioco per sviluppare know-how e dare chances ai giovani, qualunque sia la posta in gioco». Per questo Confindustria sta lavorando, con un gruppo di aziende, all’apertura nel luinese di un corso post-diploma IFTS (un anno) di specializzazione in robotica e automazione, per venire incontro alle esigenze delle aziende che cercano personale qualificato. Da 12 a 15 ragazzi saranno subito assunti e poi formati con questa iniziativa di Confindustria Varese con Fondazione ITS Incom. Partner, una decina di imprese, non solo industriali, il Comune di Luino, enti pubblici e il sistema scolastico.

In attesa della nuova fiscalità prevista con gli accordi bilaterali, Confindustria chiede di intervenire sul cuneo fiscale – contributivo con misure ad hoc per le aree di confine e misure europee per concedere la possibilità di contributi e aiuti di Stato. Accanto a misure fiscali, comunque di non facile attuazione anche per il loro “effetto domino”, Confindustria rilancia anche chiedendo di migliorare i collegamenti stradali e ferroviari per rendere più interconnesso il nord e il Varesotto e misure che possano far leva anche sul polo di Malpensa, che oggi è visto come la vera area propulsiva della provincia.

Basterà? Le impietose classifiche che pongono la fascia di confine agli ultimi posti provinciali per redditi dichiarati confermano l’urgenza. Se non ci si vuole rassegnare a che parte del territorio perda il suo slancio per confermarsi come dormitorio più o meno di lusso di decine di migliaia di lavoratori che contribuiscono a mandare avanti l’economia d’oltreconfine, è il momento di agire. Ne va il futuro dei prossimi anni.

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