Recentemente uno dei vescovi ausiliari della capitale, Mons. Benoni, ha lanciato un allarme sul fenomeno della dispersione scolastica: «Uno dei problemi sociali più allarmanti della nostra città» ha detto. Non si tratta solo di giovani delle periferie o dei nuovi poveri dell’immigrazione, ma ora anche di figli della ‘Roma bene’ che non trovano più motivazioni interiori adeguate a frequentare l’obbligo scolastico.
Dal 2019 nella parrocchia del quartiere abbiamo dato vita con alcuni volontari (insegnanti in pensione ma anche universitari motivati) ad un “aiuto allo studio”, nel tentativo di capire il fenomeno e se possibile dare una mano. Ci si trova il martedì pomeriggio dalle quindici alle diciotto: la maggior parte dei giovani, una ventina, frequenta le scuole medie o il liceo ma ci sono anche bambini provenienti da Bangladesh e Marocco che sono alle elementari. Non si fanno lezioni ma si aiutano i ragazzi a svolgere i compiti loro assegnati.
Anche se le forze per ora permettono un solo appuntamento settimanale, i risultati sono però interessanti. Quando è arrivata, Charlyne era convinta di non sapere nulla di latino. Affiancata da una insegnante di liceo classico in pensione, ha imparato in pochi mesi a tradurre da sola versioni. Ora, acquistata maggior autostima, affronta serenamente i compiti in classe.
Regina, romana, aveva la media del 3 in matematica. Continuava a ripetere di non capire nulla. Insieme ad un volontario che è stato capace di motivarla, ha scoperto che in realtà il deficit di apprendimento era legato ad una questione di incomprensione con la sua insegnante. Adesso in pagella ha 9.
Betsy è arrivata dal Perù e in prima media andava male in tutte le materie. Alcuni volontari sono andati a parlare con gli insegnanti della scuola perché la mamma non conosceva bene l’italiano. Giorno dopo giorno le incomprensioni sono state appianate. Alle fine dell’anno una professoressa ci ha detto: «Se non fosse stata seguita, di sicuro l’avremmo bocciata». Ora frequenta con successo la seconda liceo.
Gaia non ha particolari problemi neanche di carattere economico. Eppure è una delle più fedeli all’appuntamento perché, dice, «mi piace studiare in una grande stanza dove lavorano tanti ragazzi come me, anziché stare chiusa da sola nella cameretta».
Giulia, Gabriele, Leonardo, Letizia, Julie e Sara frequentano la seconda media nella stessa classe. Il martedì fanno volentieri i compiti insieme. Guidati da una volontaria che li riconduce all’ordine quando si distraggono, sono diventati ‘squadra’ anche nella loro scuola.
Abdullah è arrivato dal Bangladesh a settembre senza conoscere una parola di italiano. Adesso recita a memoria i versi di Carducci.
Layza e Ludovica non avrebbero superato l’esame di terza media senza l’aiuto allo studio. Ora frequentano con profitto i Ciosf (Centri italiani opere femminili salesiane).
Un anno fa l’arrivo di alcuni gruppi di profughi ucraini ci ha poi interrogato profondamente. Con una volontaria mia moglie ha deciso di dedicare alcune ore del pomeriggio esclusivamente allo studio dell’italiano. Una famiglia proveniente da Odessa ha così potuto imparare i primi rudimenti della lingua. Ora l’esperienza continua con Matias, 15 anni, arrivato tre mesi fa dall’Ecuador.
Una buona fetta di energia dei volontari è destinata ai genitori, soprattutto dei giovani extracomunitari. Catapultati in una cultura estranea con una burocrazia spesso incomprensibile e soffocati da ritmi di lavoro che rasentano lo schiavismo, mamme e papà hanno bisogno di essere seguiti nel percorso educativo dei loro figli. È il caso di Brad: avrebbe drammaticamente sbagliato la scelta della scuola dopo la terza media. Erano fissati per un liceo linguistico, ma parlando con noi e confrontandoci alla fine hanno optato per un istituto tecnico che ora il ragazzo frequenta con soddisfazione e buoni risultati.
Piccole gocce in un mare di bisogno. Ma spesso alla fine della giornata ci si accorge che ad essere più contenti sono gli stessi educatori.
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