Nelle ultime settimane giornali e TV hanno dato grande spazio ai dati diffusi dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) sul considerevole calo demografico registrato in Italia negli ultimi anni. Ci avviamo ad avere una popolazione residente molto inferiore ai 60 milioni. Al primo gennaio 2023 eravamo 58 milioni e 851mila abitanti, 179 mila unità in meno rispetto all’anno precedente. E gli scenari a breve termine indicano che la tendenza ci porterà ad essere 54,1 milioni di abitanti nel 2050 e, addirittura, 47,7 milioni nel 2070, con una perdita di 11,5 milioni di abitanti rispetto al 2021 (Rosina, Impicciatore 2023). In estrema sintesi quel che sta accadendo è che, ogni mille abitanti, ci sono meno di 7 neonati e più di 12 decessi l’anno. Dunque, un bilancio decisamente in rosso che ci costringe a vivere in un paese sempre più piccolo. Con differenze marcate a livello regionale, col Mezzogiorno che registra una decrescita del -6,3%; il Centro del -2,6 e il Nord -0,9. Un processo cui ha contribuito anche il maleficio del Covid, a causa del quale “Dai 420.000 nati nel 2019 si scende a 404.000 nel 2020 e a 400.000 circa nel 2012. Si riduce anche il numero di figli per donna che scende intorno a 1,25”. Una tendenza che non viene compensata nemmeno dai movimenti migratori provenienti dall’estero. La popolazione di cittadinanza straniera al primo gennaio 2023 è di 5 milioni e 50mila unità, in aumento di 20mila individui (+3,9) sull’anno precedente. L’incidenza degli stranieri residenti sulla popolazione totale è dell’8,6%, in leggero aumento rispetto al 2022 (8,5%).
Le ragioni di questa tendenza regressiva sono diverse. Indubbiamente, si tratta di un fenomeno legato alla contingenza economica che stiamo vivendo e alla mancata crescita degli ultimi decenni, durante i quali siamo rimasti in una sorta di stagnazione, senza alcuna capacità di dare la spinta necessaria. E così, i giovani entrano nel mercato del lavoro con molto ritardo e con molte difficoltà. Le famiglie si formano con grande incertezza e si rimanda sempre il momento di costruzione di una famiglia con figli. Al contempo, non ci sono alle viste politiche pubbliche in grado di alleviare quel senso d’incertezza per il futuro che domina le generazioni più giovani ed è capace di paralizzare anche le migliori intenzioni. Ci vorrebbero politiche di sostegno, come è stato fatto in altri paesi, come in Germania, dove un solido investimento in politiche familiari, come i servizi per l’infanzia, e una gestione intelligente dei flussi migratori hanno invertito una tendenza analoga a quella italiana, ottenendo dati di crescita positivi, con un incremento medio del numero di figli che “tra il 2013 e il 2019 sale da 1,33 a 1,43 tra le donne di nazionalità tedesca. Mentre il corrispondente valore delle donne di nazionalità straniera che era sceso sotto 1,6 sale sin oltre i 2 figli in media”.
Indubbiamente, son tutte ragioni vere per comprendere il fenomeno che stiamo vivendo. E tuttavia, non sono sufficienti, da sole, a spiegare quel che sta realmente accadendo (anzi, quel che non sta accadendo). Non c’è solo una questione economica a fondamento della crisi demografica. In passato abbiamo avuto crisi ben peggiori, come accadde nel secondo dopoguerra, quando il paese si trovò ad affrontare una situazione drammatica, con le infrastrutture profondamente danneggiate, le industrie più importanti colpite, scuole e ospedali distrutti, per non parlare delle vittime e della miseria dilagante. Certamente, non ci furono politiche pubbliche a sostegno dei giovani. Eppure, nell’arco di pochissimi anni la ripresa fu estremamente vigorosa. In un breve arco di tempo maturarono cambiamenti economici e sociali radicali, certamente dovuti anche a quel piano Marshall che intervenne a nostro sostegno, non dissimile, anche in termini di dimensioni finanziarie, all’attuale PNRR. Quegli anni sono rimasti nella nostra memoria e in quelli della storiografia mondiale come i trenta gloriosi (quel trentennio che va dalla fine della guerra agli anni ’70) il miracolo economico e il baby boom. Modi di dire che danno la dimensione di quel che successe, nonostante le ferite, c’era entusiasmo e volontà di fare. C’era fiducia nel futuro “ci si sentiva in un clima di sicurezza e si pensava che tutto sarebbe andato bene. Se non c’è quel clima, quella voglia di andare avanti, il singolo non si sente libero di pensare al futuro. Può temere di non farcela con i soldi, di non poter garantire ai figli l’istruzione necessaria, ma è solo l’aspetto razionale” (De Rita, 2023). Quest’ingrediente, la fiducia, oggi non c’è. E per questa ragione non si fanno neanche figli. Invece di litigare, la politica dovrebbe provare a darci una prospettiva. Credibile.
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