Gli Apostoli che ancora non credono fanno un po’ pietà. Gesù entra a porte chiuse. Spetta a loro aprirle dall’interno per venire alla luce.
Michelangelo ci fa entrare nel mistero della risurrezione, per capire Tommaso, nostro ‘gemello’ nella fatica a spostare il cuore pietrificato.
Nel 1498, a 23 anni, con i primi guadagni, Michelangelo si compra un grande blocco di marmo bianco.
Guardandoci dentro, ci vedeva già la forma della statua e diceva: “Devo togliere tutto ciò che non è l’essenza, devo spostare e portare via per fare venire alla luce da dentro, così mi ritrovo dinnanzi liberato ciò che è meraviglia”.
“Verità” in greco è “a-letheia – ciò che non è più nascosto” e in latino diventa “dis-velatus”, cioè “s-velato”, senza veli, come il Risorto che lascia le bende nel sepolcro. Da quel masso uscirà “la Pietà”.
A quel tempo c’erano due schemi classici: la madre seduta con in braccio il neonato o l’addolorata sotto la croce. Il genio le mischia: la Madonna con in braccio il figlio, ma morto in croce.
Inoltre la madre è più giovane del figlio: il figlio morto rende giovane la vita della madre.
Il bianco luminoso del marmo non è il pallore della morte, ma è il chiarore dell’alba del mattino di Pasqua. La statua sembra un pianto di dolore e morte, ma è un vagito di vita, un sussulto di risurrezione.
Michelangelo lascerà scritto di aver ritratto Maria col viso di sua mamma, morta quando lui aveva 5 anni, perché l’ha sempre sentita viva oltre la morte.
È un abbraccio non solo tra Madre e Figlio (Maria e Gesù), ma anche tra madre e figlio (Michelangelo), tra vita e morte, tra culla e croce.
È un abbraccio che diventa “mangiatoia” che contiene il corpo donato di Gesù, il pane della vita.
È abbraccio tra la creatura e il creatore: perciò tutto si ribalta. La risurrezione chiede il coraggio di lasciarsi avvolgere da un’energia di grazia che può “capovolgere”: da dentro può rotolare il masso pesante del sepolcro o aprire le porte chiuse, o può dare vita alla pietà e allora può spostare qualcosa anche nella nostra quotidianità.
Ma può capovolgere anche l’immagine stessa di Dio: dal dio che sta sul trono, al Dio che ha un cuore spalancato; dal dio che schiaccia, al Dio che ha le mani bucate; dal dio che minaccia l’inferno, al Dio che fa fiorire il giardino; dal dio che giudica per legge, al Dio che capisce per amore; dal dio che punta l’indice, al Dio che aspetta e ritorna; dal dio che è da incensare, al Dio che crede in me.
È proprio il caso di dire: che pietà!
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