Il Congresso del Partito Comunista cinese ha rappresentato una svolta per la concentrazione di potere in un solo uomo per la prima volta dai tempi di Deng Xiaoping, successore di MaoZedong.
C’è un Presidente senza rivali all’interno dell’Ufficio politico, Xi Jiping, con una vistosa accentuazione del culto della personalità, culto dell’immagine di un uomo forte e infallibile (la conferma è stata resa possibile dalla riforma della Costituzione del 2018, che ha rimosso il limite dei due mandati).
Sarà pertanto sempre più difficile criticare l’operato del Governo. Il Paese ha ora un Presidente al contempo segretario generale del PCC detentore di tutti i poteri a livello politico e militare. Negli ultimi anni molti dirigenti sono stati rimossi con il pretesto di combattere la corruzione, uno dei cavalli di battaglia di Xi Jjping dal 2013. Il bilancio del suo secondo mandato, molto negativo dal punto di vista socioeconomico, della politica estera e dell’immagine della Cina, non è stato messo in discussione. Per quanto concerne la gestione della pandemia Jinping ha rivendicato l’efficacia delle sue decisioni.
La Cina tra l’altro è un Paese che invecchia sempre più velocemente, l’abolizione della legge sul figlio unico per coppia non ha portato all’aumento del tasso di natalità. In una Cina altamente urbanizzata le dimensioni medie delle case si sono ridotte, è difficile avere spazio per più figli. Molto significativa è stata la migrazione dalle province interne verso le grandi città e le zone costiere; i giovani trovano difficoltà nell’entrare nel mercato del lavoro; sono stati privilegiati il benessere individuale e il consumismo rispetto alla lotta politica. Stroncate sul nascere le proteste ideologiche è riuscito favorito l’assetto autoritario dell’impianto.
In cambio il nazionalismo cinese ha trovato conferma in un ritrovato sentimento d’orgoglio verso il mondo occidentale: l’invidia e l’ammirazione non sono più le stesse. La lezione di umiltà impartita da Deng Xiaoping dopo la vicenda di Tienanmen, con invito alla discrezione e al basso profilo, è stata via via dimenticata.
La Cina oggi si muove nel quadro mondiale del multipolarismo, di cui si presenta a difesa, lamentandosi dell’atteggiamento degli Stati Uniti per l’affermata pretesa di egemonia. Xi Jinping ha attaccato con veemenza l’Occidente per le responsabilità sia in termini di ingiustizia che di prevaricazione. Ora il confronto non è più tra due sistemi, bensì all’interno di uno solo di potenza. La vera sfida è quella di volersi sostituire alla potenza statunitense o almeno contrastarla. Di qui la mutata politica di investimenti e l’imperialismo economico nel rivolgersi ai Paesi in via di sviluppo. Le nuove vie della seta sono la manifestazione di questa volontà. La trappola del debito viene sempre più messa in opera. Questi Paesi l’hanno già sperimentata con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il caso dell’Africa è esemplare.
Quanto ai rapporti istituiti col Vaticano, che attualmente non riconosce la Repubblica Popolare Cinese, bensì il governo di Taiwan, un accordo sulla nomina dei vescovi cattolici, già stipulato nel 2018, è stato rinnovato, ma senza grande fortuna. L’Arcivescovo emerito di Hong Kong, Joseph Zen, è stato recentemente arrestato.
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