Leggere che da aprile sono riprese le visite guidate ai siti Unesco della provincia di Varese è motivo di soddisfazione. Occasione di turismo esperienziale e culturale come dovrebbero essere tutte le visite ai siti, giustamente considerati patrimonio dell’Umanità.
Merita, dunque, ricordare una recentissima escursione della sezione varesina dell’Associazione degli Insegnanti di geografia a Ivrea, città industriale del XX secolo inserita dal 2018 nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco. Interessante la motivazione con la quale si riconosce al capoluogo canavese non solo “la capacità espressiva di architetture moderne ma anche di essere parte di un progetto economico e sociale esemplare, permeato della proposta comunitaria”.
Omaggio doveroso ad un territorio ma soprattutto al grande visionario che fu Adriano Olivetti, nato l’11 aprile del 1901 a Ivrea. Nel 2021 in occasione dei centoventi anni della sua nascita tanti lo ricordarono. Anche i media locali e alcune scuole della nostra provincia. Ma si sa che le celebrazioni degli anniversari sono spesso fuochi fatui e gli stimoli di riflessione si vanificano in un batter d’occhio. Ecco perché camminare in quello che fu ad Ivrea un esempio di spazio di ricerca innovativa organizzato per la dignità dei lavoratori è importante.
Due architetti, milanesi, Luigi Figini e Gino Pollini, poco più che trentenni, esponenti del razionalismo architettonico europeo che in Italia rappresentò anche una scelta contro il monumentale classicismo fascista, ebbero l’incarico di progettare una nuova fabbrica. L’edificio, inaugurato nel 1936, aveva sul fronte stradale “una lunga facciata fatta di grandi vetrate e dall’interno si potevano guardare i colli”. Certamente vedere quelle soluzioni architettoniche dialoganti con la natura ed elegantemente funzionali, con ampie vetrate affinché anche la fabbrica fosse luogo di luce e di benessere, provoca – oggi più che mai – domande e inquietudine.
Una sana inquietudine intellettuale per capire come un’utopia potè diventare un progetto industriale e – soprattutto – socio-culturale. Per non dimenticare di concepire il lavoro come luogo di relazione anche in tempo di crisi. Chiamiamolo – se ci piace – welfare aziendale da cui partire per modificare quello che, con una felice espressione, Nancy Fraser in un libro del 2022 ha definito “Capitalismo cannibale”. Un sistema che – secondo la saggista statunitense – sta “divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta”.
Capire il progetto di Olivetti è un’attualissima provocazione. Ci furono certamente limiti ed errori, ma il “patrimonio” delle idee di Adriano deve testimoniare che è sempre possibile un’alternativa.
Nella storia di questa impresa ci sono molti esempi del lungimirante coraggio del giovane Olivetti. Basti pensare come nella primavera del 1943 – primavera di guerra – il quarantenne imprenditore chiese a Cesare Musatti, direttore dell’Istituto di Psicologia di Padova, di avviare la costituzione di un Centro di Psicologia del Lavoro. Un decollo non facile visto i tempi. Ma coraggioso. Il coraggio di fare. Da rileggere le parole di Olivetti. “Spesso il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare ciò che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande». Sono parole e temi di sorprendente modernità.
Camminare a Ivrea in quello spazio urbanistico che fu un modello all’avanguardia di tecnologia e di cultura ci obbliga a pensare. E se vogliamo a ricordare un collaboratore di Adriano Olivetti, Gastone Garziera, nato il 13 aprile del 1942, che contribuì allo sviluppo della “Programma101″, considerato il primo personal computer al mondo. Studiato e prodotto in una fabbrica sociale, come vogliamo e dobbiamo ricordarla.
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