Si chiama “affamare la bestia”, letteralmente dall’inglese “starve the beast”, la tecnica economica ormai vecchia di una trentina d’anni, che prevede di alleggerire il gravame del costo dello Stato (la bestia) sulla collettività, tagliando tasse di successione, imposte sugli immobili, tributi legati alle rendite finanziarie, ecc. e favorendo la nascita di paradisi fiscali. L’idea geniale starebbe in questo. Se lo Stato, per il suo funzionamento, non potrà contare altro che su poche risorse derivanti dalla tassazione, non avrà la forza per tenere in piedi quella macchina opprimente e tentacolare con cui controlla e gestisce la cosa pubblica. In questo modo, si libereranno energie e risorse per i settori economici e riprenderà la crescita. È una tecnica che ha avuto interpreti di primordine, da Ronald Reagan a Margaret Thatcher, e dove si è voluto sperimentare questo nuovo new deal, in pochi anni la macchina pubblica si è ridotta rapidamente al lumicino, diventando anoressica, smagrita, quasi diafana. Incapace di svolgere i compiti che le sono propri e costretta ad un’umiliante sopravvivenza. Lo abbiamo sperimentato molto bene anche qui da noi, in Italia.
E difatti, non c’è chi non abbia sentito dire, a proposito dei vari settori della pubblica amministrazione, che manca il personale necessario per svolgere le funzioni basilari. Ma son discorsi a cui generalmente si dà poco peso, perché vien da pensare che siano le solite litanie di categorie professionali sempre pronte a lamentarsi. Se non che, con l’epidemia da Covid, si è scoperto che invece non erano solo chiacchiere. Nostro malgrado, abbiamo sperimentato che non ci sono abbastanza medici e quei pochi non vogliono stare a tempo pieno negli ospedali e preferiscono, visti i magri stipendi, lavorare a gettone, invece che essere inquadrati stabilmente all’interno della Sanità pubblica. In questo quadro, abbiamo toccato con mano, sempre a nostre spese, la sciocchezza di ridurre quella stessa sanità pubblica a poche strutture d’”eccellenza”, invece di privilegiare un’organizzazione capillare a livello territoriale, sicuramente più costosa, ma anche più efficace. Contando di più sui medici di base, per stare accanto alla collettività e offrire opportunità di soccorso immediato e competente. L’epidemia ha dilagato anche per questo e tutti quanti abbiamo pagato un prezzo altissimo di scelte sbagliate.
In questo programma di smagrimento, è successo anche altro, come la storia delle Province, per esempio. Strutture intermedie di governo del territorio che, qualche anno fa, furono soppresse al suono della fanfara, additate come inutili e ridondanti. Avremmo risparmiato un bel po’ di quattrini, si diceva. In realtà, non furono mai completamente dismesse e difatti sono ancora lì, senza che si sappia bene con quali compiti residuali e, alla fine, non s’è risparmiato alcunché. Su un altro versante, quello dei beni culturali, ho sperimentato personalmente, come segretario generale, che cosa volesse dire perdere circa 1000 addetti l’anno, su una struttura complessiva di 19000 dipendenti, senza poter contare sul turnover, come la logica vuole e la buona amministrazione dovrebbe imporre. Adesso, siamo arrivati ad ingaggiare il personale anche all’esterno, con dei contratti di consulenza. Ma così facendo, al di là della spesa considerevole cui si va incontro, non si riuscirà a far pari con istituzioni di gran rilevanza, come la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, in cui ci sono serie difficoltà a garantire il servizio pubblico (lì e altrove), scopo per il quale nacque con l’Unità d’Italia.
Adesso, è scoppiata la grana del PNRR. Non siamo in grado di fare i compiti che abbiamo promesso di fare e rischiamo di perdere una considerevole quantità di risorse che l’Europa ha messo a nostra disposizione. Si dà la colpa a questo e a quello. E così, in questi giorni, la presidente del consiglio è andata dal presidente della Repubblica per vedere come uscirne. Si vorrebbe che fosse la macchina pubblica, soprattutto quella comunale, a fare il lavoro e realizzasse quei progetti necessari al rilancio del Paese. Senza accorgersi che, avendo “affamato la bestia” per decenni, la struttura pubblica, di fatto, è stata quasi completamente smantellata, riducendosi al niente. Le strutture tecniche municipali sono quasi tutte estremamente gracili. Oberate da un’infinità di compiti e con scarsissimo personale e, già così, fanno fatica a portare a compimento il lavoro di ordinaria amministrazione, figuriamoci progetti complessi come il PNRR. La capacità ammnistrativa è stata irrimediabilmente compromessa. Mentre si vorrebbe che magicamente desse il colpo d’ala che serve per risanare l’insanabile.
Per questo, per la realizzazione del progetto, adesso si chiedono variazioni e proroghe alla Comunità Europea, nella speranza di guadagnare qualche mese, col miraggio che le cose si risolvano per miracolo. Nel frattempo è stata presentata una bozza di decreto legge per il rafforzamento delle pubbliche amministrazioni, con la previsione di 3000 assunzioni (La Stampa, 4.4.23). Non servirà a molto, perché i tempi del PNRR sono strettissimi, mentre per questi nuovi ingressi ci vorrà tempo. Comunque, è un’inversione di tendenza. Timida. E serve da lezione per tenere a mente che quel che è stato distrutto con cieca violenza e totale irrazionalità, non rinasce d’incanto dalle sue ceneri come una Fenice. E che scelte politiche scellerate, fatte passare per pura genialità, vanno denunciate per quello che sono e non imitate per insipienza.
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