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Storia

VARESE MAZZINIANA

SERGIO REDAELLI - 31/03/2023

pederzaniInsospettabili spie imparentate con famiglie di patrioti, covi di cospiratori camuffati da sale da ballo, inni cattolici in onore di Pio IX e invettive di chi lo giudicava un traditore, contadini che gridavano “viva Radetzki” nelle campagne e pavidi commercianti di città dai sentimenti tiepidi – per non dire freddi, anzi gelidi – nei confronti degli ideali risorgimentali: la storia dell’affiliazione alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini nella prima metà dell’800 a Varese è ricca di colpi di scena, come una vera, appassionante spy-story. Così la racconta Ivana Pederzani, brillante oratrice studiosa del periodo napoleonico e risorgimentale.

L’ex docente di storia moderna alla Cattolica di Milano, autrice del bellissimo “Dall’albero della libertà alla croce sabauda: politica, società e salotti a Varese (1796-1861)”, parla in Sala Montanari per l’Associazione mazziniana presieduta da Leonardo Tomassoni e rivela che i primi entusiasmi suscitati dall’Apostolo non si manifestarono nel popolo, ma tra i giovani della piccola nobiltà varesina. Colpirono i rampolli delle ricche famiglie imprenditoriali che gestivano aziende agrarie, tessili e cartarie. Mentre la borghesia commerciale che campava di traffici alla luce del sole sotto l’adunco controllo austriaco, era lontana dalle idee di Mazzini.

Dopo l’allocuzione del 29 aprile 1848 con cui il papa si rifiutò di autorizzare la guerra contro l’Austria cattolica, Alessandro Manzoni commentò con la consueta arguzia: “Pio IX prima benedisse l’Italia, poi la mandò a farsi benedire” e la gioventù colta e insofferente si divise tra papisti e mazziniani. Papisti erano e restarono fino alla fine i varesini Enrico Dandolo ed Emilio Morosini che caddero al Vascello e a Villa Corsini mentre difendevano la Repubblica Romana nel 1849. Il diciannovenne Emilio, esuberante e coraggioso, scriveva da Roma alla prediletta Annetta: “Dite alla mamma che il suo Pio IX è qui sul mio cuore”.

I fratelli Enrico ed Emilio Dandolo erano figli di Tullio, cattolico moderato, fedele al papa per studi ed educazione, in sintonia con il cattolicesimo liberale di Gioberti e Rosmini. Per lui, che leggeva Agostino e i padri della Chiesa, la libertà politica si collegava al cristianesimo e alla parola del pontefice. Da adolescente aveva conosciuto Pio VII e quell’incontro aveva influito sul suo sentire cattolico e liberale. Dal verbo incendiario dell’intellettuale genovese si distaccarono invece via via, per convertirsi al pragmatismo di Garibaldi, Francesco Daverio, Carlo De Cristoforis e Giulio Carcano, ciascuno a proprio modo eroici patrioti.

Tolte le eccezioni, la Varese mazziniana che Ivana Pederzani racconta era brulicante di giovanili spiriti ribelli, molti dei quali guadagnati alla causa dall’aver studiato all’università di Pavia, autentico germinatoio di sentimenti insurrezionali. Lo furono Luigi Grossi, cognato di Vincenzo Dandolo e coautore della “Cronaca di Varese” e l’imprenditore tessile Luigi Borghi di Varano, messo nei guai dalla spiata di Fedele Bono parente di Adelaide Bono, madre dei fratelli Cairoli. Borghi dovette fuggire all’estero come Luigi Tinelli, viticoltore a Laveno e fondatore dell’industria di ceramiche poi rilevata da Giulio Richard. Ma riuscì a salvare il cotonificio.

Affiliati alla Giovine Italia furono Luigi Molina della famiglia cartiera di Valle Olona, i fratelli Emilio e Carlo Mozzoni nipoti di Celso, che ai tempi di Napoleone aveva avuto rapporti con gli ambienti giacobini. Lo furono Felice Argenti di Viggiù, Giulio Bossi di Azzate amico del Foscolo, sodale di Domenico Adamoli sposato con Lucia Prinetti e Cesare Parravicini, assiduo frequentatore della Società del Casino, covo di cospiratori. Mazziniani della prima ora furono Angelo, Alessandro ed Eugenio Orrigoni, Giuseppe e Alessandro Comolli, i fratelli Cortelezzi, Bolchini, Camperio e Berra. Insomma una buona fetta della migliore gioventù dell’epoca.

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