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Cultura

PROFUMO DI LIMONE

LUISA NEGRI - 24/03/2023

piero-chiaraLa data di nascita, il 23 marzo del 1913 -era il giorno di Pasqua- ci riporta allo scrittore luinese Piero Chiara, che, in quel di Luino, aveva visto la luce.

E vedere la luce non è qui un modo di dire. Perché lo stesso rammenterà la luce delle stanze di via Felice Cavallotti, dove sua madre, Virginia Maffei, originaria di Comnago, sopra Lesa, lo aveva messo al mondo. Fu l’unico figlio della donna nato dal matrimonio con Eugenio, siciliano e dipendente della dogana internazionale di Luino, un migrante. Come tanti aveva risalito lo stivale dalla provincia di Caltanissetta. E, ignaro del destino di quell’illustre figlio, pianterà il suo felice seme proprio sulle sponde del Verbano, il lago tanto amato e celebrato dall’autore di Il piatto piange. Per chi non avesse troppa frequentazione con le opere, e neppure coi film tratti dai suoi romanzi, quasi tutti ambientati sul lago Maggiore, girati e interpretati da registi e artisti di fama internazionale – come Dino Risi, Ugo Tognazzi e Ornella Muti ne La stanza del vescovo – Chiara è stato tra i più innamorati cantori del ‘suo’ lago.

Pur portato altrove dal lavoro di cancelliere di pretura, dalle sue curiosità di viaggiatore e dalle circostanze avverse della seconda guerra mondiale -per evitare il carcere fuggì in Svizzera nel ’44- il suo pensiero era, e rimaneva, costantemente fisso a quell’amore di terra, alle sue persone, ai compagni di carte e di biliardo. Soprattutto agli amici e alle donne di cui si era innamorato. O che aveva avvicinato precocemente, per impazienze adolescenziali e, ancor più, per curiosità di indagatore delle vite altrui. Perché questo era, e sarebbe rimasto sempre il prediletto, il gioco fondamentale della sua esistenza: coprire e riscoprire, attraverso le parole messe sulla carta, il movimento della vita propria e degli altri. L’intreccio personale, guidato dalla sorte o dalle bizze contingenti, che la mente, il cuore, gli occhi dello scrittore avrebbero perseguito nel rapportarsi con protagonisti e comparse del suo ‘piccolo’ mondo, è la traccia esistenziale ed essenziale, il solco minimo sulla sabbia lacustre che lui osserva, con spietata amorevolezza. È quel sentore di vita- e di morte- che l’inchioda ad essa in un eterno connubio, onorato di pagina in pagina, di libro in libro, di poesia in poesia.

il-limone-della-vitaE di lettera in lettera. Non è un caso che Francesca Boldrini e Federico Crimi, curatori di Il limone della vita, un inedito carteggio giovanile, pubblicato per De Piante Editore, abbiano scelto proprio questo titolo estrapolandolo da una lettera scritta da Chiara. “Bisogna saper spremere il limone della vita, e succhiarne tutto quel poco che è possibile. E faccio questo paragone, perché a me sembra proprio che i Numi ci abbiano data la vita come si getta a una bestia un limone per tutto pasto”.

La ricorrenza della nascita di Chiara (110 anni fa) potrebbe essere occasione per ‘curiosare’ proprio tra le pagine di Il Iimone della vita Lettere giovanili (1931-1935) ottimo libro, frutto di conoscenza e di studio, che ha un sapore a tratti dolce a tratti davvero aspro. Il carteggio, ritrovato da Crimi nell’archivio familiare, racconta la vicenda segreta di un amore giovanile destinato a segnare per sempre l’affaccio alla vita del giovanissimo Chiara. Le intime confidenze all’amico Nino Ferrario, il Ferdinando Masoero de Il cappotto di astrakan, avvengono nel momento del distacco di Piero da Luino perché destinato alle preture ‘d’oltre Isonzo’. E segnano per lui, come raccontano gli autori, “un palpitante scenario di illusioni, disillusioni, incontri amori e tragedie. Dove matura il percorso di formazione del giovane Chiara, materiale umano e autobiografico che lo stesso, affermato scrittore, riverserà anni avanti negli intensi romanzi della maturità Una spina nel cuore e Vedrò Singapore?.”

L’asprezza acida della vita si stempera poi, nelle ultime lettere all’amico lontano, in una densa, dolcissima malinconia. E sembrano già parole del Chiara maturo. “(…) Io che ho provato per quasi tre anni i patimenti del girovago che dovunque viene mandato fuorché verso i monti de quali vede il profilo amato ogni volta che si trova solo e tutte le sere prima che il sonno scenda a portargli le sole ore di oblio che gli siano concesse, capisco ora il tuo dolore”.

E ancora: “(…) appena potrò mi voglio ritirare a vivere in pace al mio paese. Per girovagare solitario per il lago a guardare le rive dove fui felice, i monti dove fui forte e tranquillo, tutti i luoghi dove amai e patii, e per meditare sulle amarezze della vita, e per trovare, dalla grande calma delle acque e del grandioso organo di venti, quella pace che abbiamo perduta con gli anni migliori”.

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