Al collega Roberto Bof è andato nei giorni scorsi il premio Avvocato Valcavi, ovvero un riconoscimento che periodicamente viene consegnato ad un protagonista della vita varesina. A insignirlo l’associazione Varese per l’Italia XXVI maggio 1859, sempre attiva nei giorni in cui ricorre l’anniversario dell’Unità della nostra nazione.
Ben ha fatto: Roberto merita queste attenzioni. Lui è un giornalista “atipico”, così diverso da noi schiavi della notizia e della quotidianità con il suo flusso di avvenimenti locali che spesso si ripetono noiosi e poco interessanti, al netto di quei guizzi che rendono il giornalismo – per chi ancora lo ama – la professione più bella dell’universo.
Roberto ha scelto infatti un campo specifico e su di esso ha concentrato le sue attenzioni e la sua sensibilità di cronista e di uomo: si tratta della disabilità e del connubio tra la stessa e lo sport. Bof da sempre aiuta Varese a capire che l’unica diversità ammessa sul tema è quella degli occhi con cui guardarlo: chi li apre davvero, chi non si ferma ai primi impatti, chi non si rifugia dietro il vittimismo, la diffidenza o le credenze sovrapposte in decenni in cui l’unica chiave di lettura è stata la compassione, scopre un mondo ricco di opportunità incredibili e gratificanti, griffate da un principio di uguaglianza che si manifesta in fatti concreti e solo all’apparenza sensazionali.
Sua la fondazione della Sestero Onlus, associazione nata nel 2009 e prodiga nel sostenere persone e progetti in Italia e all’estero. Sua, e di altri illuminati, la genesi dell’esperienza (definirla associazione sarebbe riduttivo) Freerider, il gioioso movimento che promuove una sintesi tra due sfere che forse nessuno prima si era sognato di unire: la disabilità e gli sport invernali.
Per mettere una persona con deficit fisici – derivanti da amputazioni o da uno sviluppo non usuale degli arti – sugli sci ci vuole innanzitutto tanta tecnologia e tanto studio. Freerider ha coinvolto diverse aziende specialistiche, sempre più entusiaste e partecipi nel corso del tempo, per congegnare i materiali e l’equipaggiamento adatto allo scopo: sono così nati i monosci, “aggeggi” che attualmente permettono una completa integrazione tra disabili e normodotati sulle piste. E poi ecco anche la necessità di una adeguata formazione, attraverso una metodologia avanzata e ricca di contenuti, sperimentata e consolidata negli anni da uno staff composto da maestri e tecnici altamente qualificati.
Nessun “miracolo”, tuttavia, si sarebbe mai compiuto senza un dietro le quinte fatto di una gioia di vivere contagiosa e di uno spirito di aggregazione senza pari tra tutti i protagonisti coinvolti. È in questo campo che Roberto si è sempre dimostrato un campione.
Lo posso testimoniare direttamente. Mai mi scorderò, infatti, l’esperienza vissuta a Bormio nel 2017. A ogni inverno Freerider organizza uno Sky Tour, un calendario di tappe nelle più belle località alpine e appenniniche, alle quali prendono parte non solo gli afficionados varesini, ma anche disabili e normodotati da ogni zona d’Italia.
Nell’occasione Bof invitò anche a me, dandomi l’opportunità di testimoniare da collega la magia dell’iniziativa. A distanza di tempo non so ancora se il giornalista abbia fatto un buon lavoro, ma di certo l’uomo ne è rimasto conquistato.
Ricordo quel viaggio solitario di 5 ore attraverso l’interminabile Valtellina, le mille domande che mi interrogavano su quale ambiente avessi trovato una volta giunto a destinazione e l’inquietudine che talvolta si prova davanti alle novità.
Tutto tempo perso: nemmeno la più fervida immaginazione mi avrebbe reso l’idea della realtà. Perché in quei due giorni ho scoperto che Freerider è un divertimento con la D maiuscola, che inizia ben prima delle neve, caratterizzato da cene interminabili, canti e cori, allegre bevute e spensieratezza. Ho scoperto che Freerider è andare a letto tardi la sera e svegliarsi presto al mattino, con il sorriso, il freddo che ti ghiaccia la punta del naso e le spole tra l’albergo e le piste per trasportare tutto il materiale necessario. Ho scoperto che Freerider è vedere delle famiglie che trascorrono 48 ore all’insegna della serenità, scoprendo una volta di più di non essere sole al mondo con le proprie quotidiane difficoltà. Ho scoperto che Freerider è rapporti umani che si cimentano e diventano quasi una droga esistenziale.
Altro che diversi: qui ci si ritrova tra simili, simili di cuore.
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