La cancel culture, ahimè, è arrivata, a colpire anche la letteratura per l’infanzia e l’adolescenza.
La scrittrice Suzanne Nossel, un’autrice di Pen America, associazione che lavora per difendere la libertà di espressione, sostiene che rieditare i libri secondo questa filosofia potrebbe diventare una nuova arma editoriale a danno degli scrittori.
Qualche riflessione non guasta perché non è detto che la smania di correggere e cancellare il passato non possa in futuro raggiungere il nostro Paese.
Al momento nel mirino della cancel culture si trova lo scrittore inglese Roald Dahl, morto nel 1990, autore di libri grandemente apprezzati dai giovani lettori: essendo i suoi testi troppo dissacranti sia nel contenuto sia nello stile ci sarebbe la necessità di rivederli.
È il pensiero della casa editrice Puffin Books che, in accordo con la Fondazione Roald Dahl Story Company, si è impegnata ad apportare svariate modifiche agli scritti dell’autore. Ci assicura che il rimaneggiamento è dovuto soltanto alla necessità di aggiornare un certo linguaggio per rimodellarlo sulle mutate sensibilità del nuovo secolo, con la garanzia che la trama e l’acume contenuti nei testi originali saranno mantenuti inalterati.
Ma la lievità di mano promessa viene smentita dagli articoli del Telegraph. Non stupisce troppo che i moralizzatori della letteratura per l’infanzia per prima cosa abbiano cancellato o sostituito con improbabili perifrasi i termini nero e bianco usati per definire le persone.
Stupisce invece che siano stati eliminati anche gli aggettivi “grasso” e “pazzo” e quelli legati all’aspetto fisico; via “piccolo”, “panciuto”, “nano”; via pure le espressioni in cui si fa riferimento al genere, alla razza e ai lavori ritenuti umili inserendone altre ben più edulcorate.
Il poliziotto diventa un ufficiale di Polizia e la cameriera una generica “addetta alle pulizie”. Manomissioni fuorvianti rispetto al significato originario: rimozione di interi dialoghi, riscrittura dei personaggi ritenuti strani, o rozzi o aggressivi, oppure poveri ed emarginati, con risultati finali che rimodellano e banalizzano l’originale scrittura di Dahl.
Troviamo che Matilda, una ragazzina vispa, curiosa, dotata di una fervida immaginazione, lettrice appassionata, lascia i libri di Conrad e di Kipling per transitare a quelli di Jane Austen. Ci imbattiamo nella rivisitazione dei personaggi chiamati Umpa Lumpa, creature basse e tozze dalla pelle scura e dalle sembianze pressoché umane: ora sono descritti genericamente come “piccole persone”.
Giunta a questo punto mi sono concessa una pausa letteraria. Ho ritrovato e sfogliato il Pinocchio di Collodi, provando a immaginare che cosa potrebbe succedere al nostro capolavoro se usassimo il metro della casa editrice di Dahl, il cui valore è stato difeso tra l’altro da personaggi come Salman Rushdie e il Primo Ministro inglese Rishi Sunak passando per la neo Regina Camilla: le opere di letteratura e di narrativa vanno preservate – hanno chiarito – non limate o sostituite.
Ci toccherebbe incontrare un nuovo Geppetto, soprannominato per dispregio Polendina (si tratta di bodyshaming o di bullismo?) perché nel corso della lite con Mastr’Antonio volano epiteti come “somaro” e “brutto scimmiotto”?
Ci verrebbe sottratto Pinocchio stesso perché insulta il Grillo Parlante con l’epiteto di “grillaccio del malaugurio” e subito dopo lo schiaccia sul muro con un martello.
Infine anche il libro Cuore rischierebbe di essere manomesso dal furore riparatorio di un certo politically correct: niente più storie di bambini poveri, di orfanelli, di morti ammazzati, di famiglie del Sud emarginate nella Torino del dopo Unità d’Italia.
Ma sono fiduciosa che sapremmo distinguere le ragioni della letteratura del passato, remoto o prossimo, rinunciando alla pretesa di imporre i valori della società contemporanea a libri provenienti da altre epoche.
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