Ci sono molte buone ragioni per temere la nuova ondata di siccità che, a seguito del cambio climatico, ci aspetta nei prossimi mesi, soprattutto nei distretti nord-occidentali del territorio nazionale. La situazione è talmente grave da dover rifuggire dalle solite dichiarazioni di principio a cui non seguono fatti concreti.
La siccità non va monitorata e combattuta soltanto per le sue ricadute rovinose su paesaggi, agricolture ed economie ma anche per le conseguenze drammatiche che produce quando diventa un fattore limitante e persistente in grado di inibire o depotenziare le funzioni degli ambienti naturali, a detrimento di una miriade di organismi che vi risiedono.
Purtroppo, nel caso in cui una comunità biologica sia già stata sottoposta a uno stress significativo (per esempio il lungo periodo di siccità del 2022), il verificarsi di una nuova perturbazione a carico della stessa comunità produrrà un effetto imprevedibilmente più grave sulla sua “resistenza fisiologica”. In pratica, fenomeni di disturbo di questo tipo aboliscono qualsiasi possibilità di stabilizzazione dell’ecosistema per molto tempo, compromettendo quella che, in condizioni di buona salute, è la sua principale proprietà: la resilienza.
Il ciclo dell’acqua è strettamente associato al ciclo dei nutrienti (in particolare nel suolo), in quanto la stragrande maggioranza degli organismi assorbono le sostanze nutritive mediante soluzioni acquose, per cui la disponibilità di acqua e dei soluti che essa trasferisce dall’idrosfera alla biosfera gioca un ruolo biologico insostituibile in tutte le dinamiche ambientali. Anche se può sembrare strano, la prima conseguenza di un apporto insufficiente di acqua negli ambienti naturali è che gli esseri viventi muoiono di fame più che di sete.
Occorre prepararsi a far ricorso a tutto ciò che può garantire un utilizzo razionale dell’acqua basato anzitutto sul risparmio (ovunque sia possibile), ma in grado di sostenere gli ecosistemi e l’agricoltura, senza penalizzare eccessivamente altri usi.
Ben sapendo che si sta operando in una condizione “a valle” del problema e non “a monte”, a causa dell’incapacità delle istituzioni pubbliche e delle agenzie competenti di prevenire i problemi, anziché affrontarli in una fase ex-post senza strumenti adeguati.
Il suolo è un ambiente estremo che ospita quantità gigantesche di organismi microscopici, spesso caratterizzati da morfologie spettacolari, che con le loro relazioni reciproche rendono la fisiologia dello stesso particolarmente complessa, variabile e di grande interesse. Esso ospita tra il 25% e il 30% di tutta la biodiversità del pianeta ed è la sede da cui si dipartono le innumerevoli catene alimentari che rendono il nostro pianeta “vivo” oltre che “vivibile” per la nostra specie. Per distruggere le proprietà fisiche, chimiche e biologiche di un suolo bastano pochi anni, ma per ripristinarle occorrono secoli e talora millenni.
Secondo la Commissione europea circa due terzi degli ecosistemi dell’UE presentano suoli malsani e in continuo degrado, a causa dei molti fattori di stress, tra cui il riscaldamento globale che ha compromesso le loro proprietà e funzioni ecologiche.
Come si possa uscire dalla crisi idrica dei prossimi mesi non sembra minimamente all’ordine del giorno del mondo politico, la cui bussola delle priorità punta da tutt’altra parte.
A livello nazionale ci si limita a sperare che nei prossimi mesi possano cadere le piogge e le nevi che non sono cadute nel corso della stagione autunnale-invernale 2022-2023: un’evenienza che per molti ha una probabilità piuttosto bassa di verificarsi. Serve quindi una piattaforma strategica mirata a ridurre le conseguenze di una crisi idrica imminente che non promette nulla di buono.
La risorsa principale che al momento sembra mancare non riguarda le varie opzioni di natura tecnica che possono ragionevolmente essere messe in opera per assicurare una sufficiente capacità di non arrendersi alla morsa della siccità, ma la capacità di pianificare con un minimo di anticipo (siamo già in ritardo) la gestione politica del problema per non farsi trovare impreparati nel caso in cui i pronostici peggiori dovessero avverarsi.
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