È passato quasi inosservato il convegno dei raggruppamenti d’ispirazione cattolica – più di quaranta fra associazioni, movimenti, centri culturali – che si sono riuniti a Roma al Parco dei Principi negli stessi giorni in cui il PD eleggeva il suo nuovo segretario. I temi del convegno si sono polarizzati principalmente attorno a tre argomenti: la nascita di un partito di cattolici, la presenza di cattolici nei vari partiti, i “valori non negoziabili” per i cattolici impegnati in politica. Non era la prima che i cattolici si riunivano per trovare elementi di partecipazione comune alla vita politica. I due convegni di Todi avevano suscitato attese e speranze, ma idee e progetti furono calpestati da alcune associazioni, dai soliti maneggioni, con la benedizione di un eminente presule. Questa volta è stato il laicato più consapevole che ha discusso, elaborato pensieri alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa. E il tentativo messo in opera per riunire la diaspora cattolica accampata sotto le tende delle più diverse formazioni mi sembra aver conseguito un buon successo.
L’appartenenza dei cattolici in un unico partito oggi è un elemento del curriculum individuale, non il riferimento a un’anima collettiva di proposta politica. Personalmente, ritengo improbabile la formazione di un partito cattolico, anche se i cattolici non possono restare silenti davanti ai drammi della storia di questi giorni. Come pure non sostengo una “santa alleanza” tra politica e religione per sconfiggere la “democrazia illiberale” e la cultura progressista, tesi cara a Orbàn e ai suoi accoliti.
Nel campo del centrodestra noto che l’attenzione dei cattolici per la difesa dei “diritti non negoziabili” propugnati – non so per motivi elettorali o per sincera convinzione – in nome della fede o della cultura cristiana sono difesi a oltranza da uomini moralmente poco credibili. Nel campo del centrosinistra registro, d’altro canto, un impegno per quei diritti sorti ai nostri giorni come l’accoglienza dei migranti, la lotta alle disuguaglianze, la guerra e la cura dell’ambiente.
I due schieramenti sopra citati fanno riferimento alla persona e alla sua dignità, così come sancito dalla nostra costituzione, ma mentre i primi intendono salvare la civiltà cristiana trincerandosi dietro i dogmi e la tradizione che riguardano la vita e la morte, principi indiscutibili, i secondi prediligono volgere lo sguardo alla persona assicurandole diritti lungo tutto l’arco della vita. Non è lecito combattere l’aborto e l’eutanasia e contemporaneamente non permettere il salvataggio di vite umane che naufragano anche a causa d’insane politiche. Come pure non è lecito difendere la libertà in economia e contemporaneamente innalzare reticolati per difendere i sacri confini della Patria.
Non intendo erigere un tribunale per processare le intenzioni dei credenti impegnati in politica nell’una o nell’altra parte. Reclamo il dovere che occorra affidare le sorti di ogni persona umana e del Paese a credenti moralmente credibili e tecnicamente competenti perché “non si possono compiere grandi cose con piccoli uomini” (J.S. Mill).
Per assicurare la dignità ad ogni persona occorre affrontare la lotta alle ingiustizie sociali e alle “nuove povertà”. La solidarietà oggi si esprime in termini di diritti e di giustizia. Non si tratta solo di affermare che l’uguaglianza è un’aspirazione, ma di applicare i diritti sanciti, prima che dalle moderne costituzioni, dal Vangelo di Gesù.
Accanto alle disuguaglianze sociali, si riscontrano le “nuove povertà”: il disagio inteso come forza di sofferenza che attraversa il vissuto umano, le devianze, la marginalità, il disadattamento a cui occorre guardare con occhi umani. La guerra è l’altra faccia della stessa medaglia perché ogni conflitto colpisce soprattutto i più poveri. Se la guerra resta l’accecante realtà, la pace la dobbiamo concepire, volere e sperare anche dialogando tra schieramenti opposti. Per i credenti è volontà di Dio, per i non credenti profezia.
Può dunque un credente collaborare con un non credente nello stresso partito per servire il bene di tutti? Sì, purché entrambi si impegnino, attraverso il confronto democratico, a rendere più umano questo mondo e maggiormente segnato da pace e da giustizia.
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