Lo avevamo visto sommerso di scritte e scarabocchi.
Lo scorso maggio il colpo di grazia finale, per mano di uno sconosciuto imbrattatore, con l’imprigionamento in una ragnatela rosina e azzurra ad avvolgerne l‘opera in bronzo, da cima a fondo. Non solo erano stati deturpati il colore e l’aspetto nell’insieme, ma danneggiati anche la materia dell’opera e il basamento.
Poi l’intervento del Comune di Varese, fortemente sostenuto dall’assessore Laforgia, ne ha segnato il ritorno alle originali sembianze, lo scorso febbraio, per le cure del restauratore Marco Vallino
Si tratta dell’opera di Vittorio Tavernari, il Totem collocato nella piazzetta Albuzzi nel 1997, in uno spazio antistante la storica Galleria Ghiggini, in occasione dell’antologica dedicatagli al castello di Masnago.
Di quel felice giorno è una foto conservata dalla famiglia, che ritrae, assieme agli amministratori di allora, la figlia Carla e il fratello Giovanni con i rispettivi coniugi, e la vedova di Vittorio, Piera. Entusiasta e illuminata moglie dell’artista, ha lasciato un meraviglioso ricordo di sé in quanti hanno avuto la fortuna di farne la conoscenza, nelle numerose mostre e negli eventi, in Italia e all’estero, che hanno accompagnato la vita del famoso artista ( 1919-1987), milanese di nascita e varesino per scelta professionale e di amore.
Quel dono alla città voleva essere dunque un segnale di gratitudine e riconoscenza, uno dei tanti con i quali i familiari hanno sempre onorato la memoria dell’artista.
Alla cerimonia del mese scorso, dedicata alla restituzione alla città della statua restaurata, con gli amministratori e i dirigenti museali erano di nuovo presenti i parenti, tranne Piera, ormai ricongiunta a Vittorio.
C’è dunque un’affezione profonda di Varese che va aldilà del senso di un gesto, è il ricordo di chi vedeva in Vittorio Tavernari una delle eccellenze locali impegnate nel campo dell’arte e della cultura. “Io credo all’arte come sorgente di vita” scriveva. Un credo vissuto con altri protagonisti. Come gli amici Piero Chiara e Renato Guttuso, spesso a fianco a fianco, in eventi espositivi anche di vocazione internazionale che hanno reso famoso il nostro territorio e le sedi museali di Villa Mirabello e del castello di Masnago.
Oggi figli e nipoti di Vittorio si stanno apprestando a far dono di altre opere, da esporre proprio nel museo di arte contemporanea di Masnago. Perché nelle stesse sale sono già diversi lavori del maestro, e in cortile è il Totem ligneo, da cui venne ricavato il calco per il bronzo di piazza Albuzzi. La fusione in bronzo patinato (eseguita dalla ditta Cubro di Novate milanese) e la donazione avvennero in occasione della mostra antologica del 97.
I figli Carla e Giovanni, ancora oggi, continuano a gratificare la città. Che a lui, come ai due colleghi artisti, ha dedicato una strada, in uno scambio di vicendevoli riconoscimenti, esempio di connubio che fortifica l’immagine di Varese come città accogliente, nonostante l’apparente riservatezza, e niente affatto indifferente alla cultura. Fu proprio Vittorio a convincere l’amico Renato a rimanere, facendo studio a Varese nella stagione estiva. A sua volta Renato racconterà l’immensa gratificazione offertagli dal quieto lavoro in terra varesina, particolarmente quello sulla Via Sacra del Rosario, alla terza cappella. Dove il maestro di Bagheria ci ha lasciato l’affresco della famosa Fuga in Egitto.
L’opera, nell’esemplare immagine della migrazione di una famiglia povera e perseguitata, continua a essere puntuale racconto di come la storia, a partire da quella di Cristo, si perpetui nelle drammatiche pieghe dei suoi concitati rivolgimenti. E nelle piaghe di chi soffre, da sempre.
Auspichiamo che a scempiaggini come quella consumata sul Totem non si debba più assistere.
Ci sono posti dedicati, aperti agli sfoghi degli imbrattatori, ormai ovunque. Si accomodino là, e dimostrino piuttosto di saper fare qualcosa che serva a tenere alto, non ad abbassarlo, il decoro del territorio. Nel rispetto per la cultura e la storia di tutti noi.
Senza quel vicendevole rispetto, come ci ha ben insegnato Primo Levi, nessun uomo può sentirsi uomo.
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