Nel giro di pochi giorni ho vissuto due eventi particolarmente stimolanti in tema di comunicazione. Eventi diversi, protagonisti diversi, pubblici diversi. Tra il sacro e il profano, verrebbe da dire.
Il primo evento ha idealmente concluso il ciclo di seminari “ComuniCARE: prendersi cura di come e di ciò che si ascolta”, promosso dalla Cappellania LIUC in collaborazione con la Scuola di Economia Civile. Coinvolgendo Monsignor Luca Bressan e Ferruccio De Bortoli, si è discusso su: “Comunicare con sapienza, scienza e pietà. La comunicazione nel magistero di Carlo Maria Martini”.
Tre spunti di riflessione sul Martini-comunicatore, tra i tanti offerti dalla serata.
Innanzitutto Martini ha comunicato aprendosi alla modernità, al nuovo che avanzava. Voleva e doveva stare tra la gente, voleva e doveva frequentare la piazza, foss’anche virtuale. Non a caso, monitorava in prima persona gli sviluppi di Facebook.
In secondo luogo, lo ha fatto in nome dell’inclusione, rivolgendosi anche a chi era fuori dalla Chiesa o addirittura contro la Chiesa. Parlava al gregge, ma anche a chi era considerato fuori dal gregge.
Infine, lo ha fatto partendo dal presupposto che il dialogo vive di ascolto o, per dirla con le parole di Papa Francesco, della costruzione di ponti e dell’abbattimento di muri.
Il secondo evento è stato lo spettacolo di Paolo Cevoli: “Andavamo a cento all’ora”. Una miniera di battute e di aneddoti, di risate e di provocazioni. Tre esempi, due dal vivo e uno tratto dal “Manuale di marketing romagnolo”, nella parte dedicata alle attività di promozione dell’albergo di famiglia, la mitica Pensione Cinzia:
Si dice che il sacro e il profano non possano essere uniti. Né, a maggior ragione, potrebbero esserlo sulla base di evidenze così sintetiche come quelle che ho riportato. Però una convergenza parallela me la permetto attorno a due messaggi, che, concedendomi qualche licenza interpretativa, evidenzio a mò di conclusione. Il primo è relativo al valore del linguaggio. Il pensiero di Martini e lo show di Cevoli mi hanno testimoniato che abbiamo bisogno di recuperare il valore della parola (anche nella sua ricchezza lessicale), del comunicare in modo diretto, del parlare forte e chiaro. Non è una questione di “quantità di parole” ma di “qualità e di autorevolezza del dialogo”, che per molteplici ragioni tende a diventare liquido se non piatto, distaccato se non sterile, sospettoso se non omertoso. Il secondo fa riferimento al valore della relazione, sia essa con chi è nel gregge o con chi ne è fuori, con Gino o con i clienti tedeschi. I rapporti interpersonali sono vitali. Il portato della pandemia e il modus operandi dei social rischiano di impoverirli, di raffreddarli, di atrofizzarli. Nulla è perduto, tutt’altro. Però la battuta di Cevoli sul sistema punitivo all’insegna della “movida obbligata” deve farci riflettere. A ben pensarci, è qualcosa di più di una battuta.
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